venerdì 22 agosto 2025

Il valore della lettura






 La lettura accompagna l’uomo da secoli, trasformandosi con i cambiamenti della società e delle tecnologie. Un tempo i libri erano un privilegio di pochi, poi sono diventati patrimonio collettivo. Oggi, accanto alle edizioni cartacee, troviamo gli eBook, che hanno introdotto un nuovo modo di avvicinarsi alle storie e alla conoscenza. 

 È meglio leggere in formato digitale o su carta?


Il libro cartaceo un’esperienza che coinvolge i sensi

Il volume tradizionale non è solo un contenitore di parole è un oggetto che suscita emozioni. Il profumo della carta, il peso tra le mani, il gesto di voltare pagina restituiscono una ritualità che invita alla calma e all’intimità con il testo. 


Sfogliare un libro significa anche custodire un ricordo le pieghe sulle pagine, le sottolineature a matita, i segnalibri improvvisati diventano parte della nostra storia personale. Un libro letto e riletto conserva tracce di chi siamo stati in quel momento della vita.


Dall’altra parte, l’eBook ha introdotto una rivoluzione. Grazie alla leggerezza dei dispositivi elettronici, centinaia di opere possono essere portate ovunque, pronte ad accompagnare viaggi, spostamenti e attese. 


L’accesso immediato alle librerie digitali permette di acquistare e iniziare a leggere in pochi secondi. Inoltre, funzioni come l’ingrandimento dei caratteri, la regolazione della luce o la ricerca di termini rendono la lettura più personalizzabile e inclusiva, soprattutto per chi ha difficoltà visive o necessità particolari.


Studi recenti hanno evidenziato che la lettura su carta favorisce maggiormente la concentrazione e la memorizzazione, perché il cervello si orienta anche attraverso la fisicità del libro, ricordando la posizione di un paragrafo o la sensazione di una pagina. 


Al contrario, il digitale privilegia la velocità e la funzionalità, ma può talvolta ridurre il livello di immersione. Tuttavia, non si tratta di una contrapposizione netta entrambe le esperienze si completano, offrendo vantaggi diversi a seconda dei bisogni e dei contesti.


Alla fine, la vera domanda non è quale formato sia migliore, ma quale esperienza ci arricchisca di più. C’è chi trova insostituibile il contatto con la carta e chi scopre nella tecnologia la libertà di leggere ovunque. Non si tratta di scegliere, ma di riconoscere che entrambe le modalità hanno un valore il cartaceo come custode di memoria e simbolo di lentezza, l’eBook come strumento di accessibilità e modernità.


In un mondo che cambia rapidamente, i libri restano. Cambiano i supporti, mutano le abitudini, ma la sostanza non si perde leggere significa aprirsi a nuovi mondi, dialogare con idee lontane, crescere interiormente che  sia su carta o su schermo, ciò che conta davvero è non smettere di leggere.

giovedì 21 agosto 2025

Crescere nella paura



La violenza familiare non è fatta solo di pugni e urla è anche silenzio ostile, controllo costante, umiliazioni sottili che si ripetono fino a diventare una norma. Nelle mura di casa, dove un bambino dovrebbe sentirsi al sicuro, può invece nascere un mondo fatto di regole distorte, dove l’amore si mescola al terrore e la fiducia viene sostituita dalla paura.

Un bambino che cresce in un contesto violento impara presto che ogni gesto o parola può avere conseguenze imprevedibili. Vive in uno stato di allerta continua, pronto a leggere i segnali del volto o del tono di voce dei genitori per capire se sta per scoppiare un conflitto. Questa costanza costruisce in lui un sistema di ansia che diventa parte della sua identità. La paura non è più legata a un episodio isolato, ma diventa cronica si radica e accompagna i suoi pensieri, i suoi sogni, il suo modo di relazionarsi agli altri.


Le regole della violenza familiare sono implicite, ma spietate non parlare tropponon contraddirenon esprimere emozioninon chiedere. Sono leggi non scritte che il bambino interiorizza e che gli insegnano a ridursi, a farsi piccolo per sopravvivere. Questo atteggiamento, però, lo priva della libertà di crescere, di esplorare, di fidarsi. Impara che l’amore può essere pericoloso, che la protezione può trasformarsi in minaccia, che chi dovrebbe accudirlo può invece ferirlo.


L’ansia nei bambini vittime di violenza familiare nasce proprio da questa contraddizione insanabile desiderano l’affetto dei genitori, ma lo temono; hanno bisogno di casa come rifugio, ma la percepiscono come luogo di pericolo. La paura diventa una compagna invisibile che si infiltra nella scuola, nelle amicizie, persino nei giochi. Spesso si manifesta con insonnia, somatizzazioni fisiche, difficoltà di concentrazione o comportamenti aggressivi.


La violenza familiare lascia segni che non sempre si vedono, ma che pesano come macigni nel futuro. Bambini cresciuti in questo clima possono diventare adulti diffidenti, sempre in guardia, o al contrario, finire intrappolati in relazioni tossiche perché l’unico linguaggio che conoscono è quello della sopraffazione e della paura.


Parlare di queste dinamiche è essenziale non per accusare soltanto, ma per comprendere e prevenire. La violenza in famiglia non è mai un fatto privato, perché i suoi effetti ricadono su tutta la società. Un bambino cresciuto nell’ansia e nella paura non porta solo la sua ferita porta un vuoto che chiede ascolto, un dolore che rischia di ripetersi nelle generazioni successive.


Solo rompendo queste regole silenziose e offrendo ai bambini spazi di ascolto, protezione e amore autentico, si può spezzare il ciclo della violenza e ridare alla parola “famiglia” il significato che merita rifugio, sicurezza, crescita.

mercoledì 20 agosto 2025

Quando si diventava grandi presto






I bambini di un tempo erano molto diversi da quelli di oggi, non perché fossero migliori o peggiori, ma perché crescevano in un contesto dove la vita stessa li responsabilizzava. Non c’era la stessa protezione a cui siamo abituati adesso già da piccoli si partecipava al lavoro della famiglia, si imparava il valore della fatica e non si dava nulla per scontato.

Ricordo bene una bambina del quartiere, cresciuta a pochi passi da casa mia. I miei genitori conoscevano bene i suoi, ci si incontrava spesso nel vicinato e le famiglie si aiutavano l’una con l’altra. Un giorno, parlando del passato, lei mi raccontò un ricordo della sua infanzia che mi colpì profondamente.


Avevo appena terminato la terza elementare quando mio padre decise che a scuola non ci sarei tornata. Aveva già una figlia femmina, e quando io nacqui sperava fossi un maschio, così per lui, era naturale che fossi io ad accompagnarlo nei campi, come avrebbe fatto un figlio. La mattina presto mi svegliava, e mentre lui zappava, io portavo i secchi d’acqua, quasi più grandi di me. Non c’era da discutere quella era la mia vita, e a otto anni già lavoravo come un adulto.


A mezzogiorno tornavamo a casa e mia madre ci accoglieva con una minestra calda. Non era un pranzo ricco, ma per noi era un vero banchetto. Dopo, se avanzava un po’ di tempo, correvo in strada a giocare con gli altri bambini. Una palla fatta di stracci, ed ecco iniziava il divertimento. Non avevamo nulla, ma ridevamo tanto.


La sera, alla luce della lampada, guardavo mia sorella più grande fare i compiti sul quaderno che mia madre custodiva come fosse un tesoro. Non si poteva sciupare un foglio ogni parola contava.


Così è cresciuta la mia amica, tra lavoro, gioco e la speranza un giorno di poter tornare sui banchi di scuola per studiare. Forse era duro, ma oggi penso che quella durezza le abbia insegnato a dire grazie anche per le piccole cose.


Quelle parole mi rimasero impresse, perché raccontavano con semplicità la realtà di molti bambini di allora, non era una vita facile, ma era una vita che insegnava presto a crescere, a rispettare il sacrificio, a riconoscere il valore di ciò che si aveva.


Oggi i bambini vivono un’infanzia molto diversa più protezione, più possibilità di studiare, più tempo per giocare e svilupparsi. È un bene enorme, un progresso che non va perso, ma accanto a questa ricchezza, a volte si rischia di dimenticare che la vita ha bisogno anche di responsabilità, di consapevolezza, di gratitudine.


Il confronto tra ieri e oggi non serve a stabilire quale infanzia fosse migliore, ma ci ricorda che ogni tempo porta con sé insegnamenti preziosi. Forse la sfida più grande è unire le due cose  la leggerezza e la protezione del presente con la forza e la sobrietà del passato. Solo così i bambini di oggi potranno crescere non solo felici, ma anche pronti ad affrontare la vita con maturità e gratitudine.

martedì 19 agosto 2025

La perdita di un mito

 

Con Pippo Baudo se ne va un pezzo irripetibile della televisione italiana. Non era semplicemente un presentatore, era molto di più un uomo che, con la sua voce calda, il suo carisma e il suo modo naturale di stare davanti alle telecamere, ha saputo trasformare lo spettacolo in un momento di vita condivisa. Pippo non ha solo condotto programmi, li ha fatti diventare storia.

Per oltre mezzo secolo ha incarnato l’immagine della televisione pubblica e popolare, quella che sapeva unire, divertire, far riflettere e, soprattutto, accompagnare. La sua figura rimane impressa nella memoria collettiva non come un volto qualsiasi dello spettacolo, ma come un simbolo capace di rappresentare un’intera epoca. Non c’era evento importante che non avesse il suo tocco, la sua eleganza, la sua capacità di improvvisare con intelligenza e di tenere insieme i fili di una serata.


Pippo Baudo non è stato soltanto la voce delle serate televisive ma capace di riconoscere e valorizzare il talento nascosto in chi ancora non aveva trovato il proprio spazio. Sono decine gli artisti che hanno iniziato con lui, che gli devono la prima occasione, quella luce di fiducia che li ha proiettati verso il successo. 


La sua forza stava nella professionalità e nella passione dietro ogni trasmissione c’era uno studio meticoloso, una preparazione attenta, una dedizione che rendeva tutto apparentemente naturale, spontaneo. Con la sua ironia, il suo modo garbato e al tempo stesso deciso, riusciva a mantenere l’attenzione viva, a guidare lo spettatore in un flusso che sembrava semplice, ma che era frutto di un’arte raffinata.


Era, in un certo senso, la televisione stessa un linguaggio che parlava a tutti, dai più giovani agli anziani, dai paesi più piccoli alle grandi città. La sua presenza univa le famiglie davanti allo schermo, creando un senso di comunità che oggi sembra quasi irraggiungibile. Con Pippo Baudo, la televisione era davvero capace di portare nelle case non solo spettacolo, ma anche cultura, musica, emozioni.


La sua scomparsa lascia un vuoto che non sarà semplice colmare, perché figure così non nascono tutti i giorni. Resta il ricordo di un uomo che ha vissuto per il suo pubblico, che ha dato tutto se stesso al mondo dello spettacolo e che, con la sua lunga carriera, ha scritto pagine indimenticabili di storia italiana.


Con lui si chiude un capitolo, ma si apre l’eredità di un patrimonio che continuerà a vivere, non solo nei ricordi, ma anche nell’anima culturale dell’Italia.