Antonio era stanco di quella vita fatta di privazioni. Ogni giorno sembrava uguale al precedente sempre la stessa miseria, sempre lo stesso piatto povero in tavola. Quel giorno, davanti all’ennesimo riso con l’uovo, la rabbia esplose. Con un gesto violento rovesciò il piatto, i chicchi si sparpagliarono sul pavimento e qualcuno si attaccò persino al volto stanco di sua madre.
Anna non reagì, si chinò a raccogliere il cibo, in silenzio, come se anche quell’ultima manciata fosse troppo preziosa per andare sprecata.
Poco dopo si chiuse nella sua stanza. Non era una donna che piangeva facilmente pregava. Ogni sera, inginocchiata accanto al letto, si affidava a Dio, chiedendo protezione per quel figlio che non sapeva amare la povertà né riconoscere i sacrifici che lei faceva per lui.
Qualche giorno più tardi Antonio decise di partire. La città, con le sue luci e promesse, sembrava l’unica via di fuga. Non si voltò indietro. Sua madre, con un filo di voce, gli chiese soltanto di risponderle ogni tanto al telefono. Gli confessò che si sentiva sempre più debole e che, se un giorno non l’avesse più chiamato, sarebbe stato perché non c’era più.
In città la realtà fu più dura dei sogni. Antonio scoprì cosa significava sgobbare davvero pacchi da consegnare, turni infiniti da guardiano notturno, giornate a spingere carriole nei cantieri. Non c’era niente di glorioso.
Ogni sera, puntuale, il telefono squillava la voce di sua madre lo raggiungeva sempre uguale, con la stessa domanda semplice come stai? Lui rispondeva distratto, sempre più infastidito da quell’insistenza poi, un giorno, il telefono smise di suonare.
Il silenzio lo fece inquietare, ma non ebbe il coraggio di richiamare. Pensò subito che sua madre fosse morta. Non pianse. Continuò a vivere come se niente fosse, convinto che il tempo avrebbe anestetizzato anche quell’assenza.
Passarono settimane. Nel tentativo di guadagnare in fretta, accettò un lavoro rischioso trasportare un’auto piena di cose illegali. La notte stabilita per la consegna, mentre stava per mettersi al volante, ricevette una telefonata da un numero sconosciuto. Una voce femminile, concitata, gli disse di non farlo, di lasciar perdere, di tornare indietro. Non era sua madre, ma per un attimo il tono gli sembrò incredibilmente simile. La linea cadde quasi subito.
Antonio rimase pietrificato, non salì in macchina. Lasciò perdere l’affare, pur sapendo che gli sarebbe costato caro.
Qualche giorno dopo tornò al paese. Scoprì che sua madre era morta davvero, più o meno nel periodo in cui lui aveva smesso di ricevere le sue chiamate. In casa trovò ancora i segni della sua presenza le sue cose in ordine, il letto rifatto, i libri di preghiera sul comodino.
In paese, la notizia che correva era chiara l’auto che avrebbe dovuto guidare era stata intercettata, crivellata di colpi, e il conducente era morto sul colpo.
Antonio rimase in silenzio a lungo, incapace di spiegarsi perché quella telefonata lo avesse fermato. Non seppe mai chi fosse stata quella voce, né se fosse un caso o un segnale, ma una cosa la comprese bene sua madre, fino all’ultimo, aveva cercato di salvarlo, prima con le parole, poi con la forza del ricordo che lui non riusciva a scrollarsi di dosso.
Ci sono voci che sembrano fastidiose finché le hai accanto, ma quando smettono di parlarti ti accorgi che erano le uniche a volerti davvero bene.
Rispondere a una chiamata può sembrare un gesto banale, eppure a volte significa custodire un legame che non tornerà più.