L’aria a festa nei giorni di Natale che si respirava quando ero bambina, era come quella canzone che viene voglia di cantare appena apri gli occhi e senza un perché rimane in testa per tutto il giorno, a me rimaneva per tutto il tempo delle feste.
La nota d’inizio era data da: “Quando arrivano i miei zii e cugini?”
Il Natale a casa mia, iniziava dal giorno dell’arrivo dei miei parenti, che sostavano per tutta la durata delle feste.
Si allestivano i letti nelle varie stanze della grande casa che in quel periodo, diventava armoniosa.
In quei giorni, si preparavano dolci, pane, taralli, si imbandivano tavole con ogni sorta di vivande e l’odore aleggiava per tutta la casa.
Si percepiva la festa dal limpido sorriso di mia madre, pronta ad accogliere tutti.
Ricordo in particolare un angolo della sala più importante della casa, dove c’era il presepe e un albero di Natale allestito con palline e luci colorate.
Mia madre aveva comprato dei pastori grandi di ceramica che venivano messi in prima fila.
Mio padre, con le scatole di scarpe realizzava le montagne con la carta del pane dove mettevamo i pastorelli e le pecore.
Io mi divertivo a giocare di nascosto e ogni volta le pecore cascavano.
Che fatica rimetterle a posto, qualcuna era senza una zampa, qualcun’altra le aveva storte perché logorate nel tempo.
C’erano le casette in legno e l’immancabile specchio dove galleggiavano papere e anatre, tutt’attorno il muschio che avevamo comprato.
Quando i miei se ne accorgevano mi buscavo una sgridata
Con i fili dorati, mio padre preparava l’albero sul quale insieme a lui ci divertivamo a posare le palline colorate ed infine le luci che lo rendevano magico.
Nei giorni antecedenti mio padre aveva stilato il menù e la lista della spesa fino all’Epifania.
Erano tempi in cui non esistevano i centri commerciali e il negozio sotto casa chiudeva per le feste comandate, come pure il fornaio e il fruttivendolo e nessuno si lamentava, bisognava avere pazienza e organizzarsi al meglio e mio padre era un abilissimo generale in questo.
Qualche giorno prima dell’arrivo di mia nonna paterna e mia zia con sua figlia, la mia stanza era stata tutta trasformata in camera da letto quadrupla.
Mia nonna Marietta dormiva sul divano letto, mia zia Maria sul letto a scomparsa dell’armadio, io e mia cugina Giovanna su delle brande trovate in soffitta per la ricorrenza.
Io ricordo che quando andavamo a letto mi divertivo a raccontare a mia cugina di un anno più grande, storie di fantasmi che ci stavano benissimo con il vecchio palazzo e con i rumori di quelle notti affollate.
La mattina era il momento che adoravo; Il tavolo rotondo della cucina era stato aperto per far sedere tutti.
Per la prima colazione del tempo di Natale, mia madre tirava fuori una caffettiera enorme, era la grande moka lucida, accanto: latte, piatti colmi di dolci, biscotti.
La colazione era una festa di sapori, odori, colori con tutti i sorrisi attorno, mani e occhi si intrecciavano sui piatti tra commenti e battute, era tutto un passarsi di cose buone fatte in casa come l’amore semplice.
I giorni passavano tra giochi e pranzi interminabili, noi avevamo tempo per litigare, azzuffarci, fare pace e giocare a nascondino nelle stanze mentre gli adulti erano in continuo movimento.
A volte inventavamo giochi nuovi che andavano fino al giorno dopo e che continuavano durante le cene con sguardi complici.
La tombola dopo cena era una cosa seria perché si accodavano altri parenti tutti fratelli e sorelle di mio padre.
Zia Rosa, conservava le cartelle a parte, per evitare che le prendesse qualcun’altro, il perché non si capiva a suo dire le piacevano i numeri da 1 a 6.
La nonna Marietta mamma di mio padre, raccoglieva i soldi e faceva i premi, era inutile contestare, non si accettavano suggerimenti.
Il cartellone all’inizio era di mia madre, solo più avanti passava ad altri!
Noi bambini avevamo le cartelle insieme, io e mia cugina, l’altra mia cugina con suo fratello, ogni numero che usciva dal sacchetto era un’emozione.
Zio Vincenzo, il marito di mia zia Rosa, al secondo giro lascia il tavolo e preferiva leggere il suo giornale locale, mentre la moglie brontolava e lo invogliava a tornare a giocare, noi ridevamo per quel modo di rimbrottarsi a vicenda sempre uguale negli anni.
In tv c’erano le canzoni e tutt’attorno un forte profumo di mandarini che mia madre distribuiva, la buccia veniva fatta a pezzettini per segnare sulle cartelle i numeri che venivano tirati fuori.
Oltre al profumo, i pezzetti di buccia erano più stabili dei fagioli e mia nonna evitava di lanciarci occhiatacce ogni volta che ci muovevamo e il tavolo traballava.
La tombola andava avanti fino a notte tarda, tra un giro di liquore e i vassoi di frutta secca.
La notte di Natale a mezzanotte meno un quarto si smetteva di giocare.
Mio padre Giovanni, prendeva lo spumante, zio Vincenzo apriva il panettone, era bravissimo a tagliarlo, e lo distribuiva a pezzi perfettamente uguali così che ognuno non si poteva lamentare di averlo avuto più piccolo o più grande, mentre mia madre sistemava i bicchieri noi aspettavamo di sentire il primo botto dei fuochi d’artificio.
La mezzanotte precisa, era tutto un giro di baci e di auguri attorno al grande tavolo della sala da pranzo.
Dalla finestra si vedevano i fuochi d’artificio.
Finito il brindisi e mangiato il panettone, mio padre riportava tutti all’ordine e ridendo ciascuno tornava al suo posto e si riprendeva a giocare a tombola che coinvolgeva nuovamente tutta la famiglia.
La tombola era un divertimento continuo, specialmente vedere gli anziani confondere i numeri (il sessanta con il settanta), ecc.
Per riposarci, ogni tanto, alternavamo qualche giro al sette e mezzo. Noi, come sempre, prendevamo la carta in gruppo e mettevamo dieci lire ciascuno.
Zia Maria che voleva rifarsi della perdita a tombola, teneva la carta ben coperta sul grande tavolo, purtroppo non aveva fortuna neanche a sette e mezzo e ripeteva che era inutile, non aveva fortuna!
Mio nonna Grazia sonnecchiava facendo finta di parlare con mio padre.
Tra colazioni, pranzi e cene, tra giocate a tombola, caffè e frutta secca, si arrivava all’Epifania.
Mia madre, rimetteva la tombola nella scatola e l’avrebbe conservata fino al Natale successivo.
La casa si svuotava, il vecchio tavolo del soggiorno, tornava alle sue dimensioni normali.
C’era qualche piatto in meno, un po’ di bicchieri mancanti, qualche posata che nella confusione era finita nella spazzatura, c’era una montagna di roba da lavare, i letti da riordinare e tra una cosa e l’altra spuntava qualcosa dimenticata, ricordi di quell’aria di Natale dove tutti, costruivamo ricordi, come ogni anno.