giovedì 26 dicembre 2024

Che cos’è la depressione



La malinconia è piuttosto comune a noi umani ed è da comprendere specialmente, quando gli eventi non vanno nella direzione giusta.

La depressione, invece, è uno stato di sofferenza interiore, difficile da esaminare.


Che cosa causa la depressione?”.

C’è qualcosa che posso o avrei potuto fare per eluderla?


Cimentandosi su internet, si leggerebbe che è causata da uno squilibrio dovuto a sostanze chimiche presenti nel cervello come la serotonina e la dopamina e anche se non si sbagliano, non è una risposta sufficiente a spiegare  come evitare l’ostacolo.


C’è da chiedersi se queste sostanze chimiche sono troppe o poche? 


La ricerca a questo punto deve ancora giungere ad una conclusione stimabile.


Chi può dire se gli squilibri chimici sono antecedenti ai sentimenti di depressione o fanno parte della risposta al processo patologico già in corso? 


Conformi squilibri chimici nel cervello si riscontrano anche in altre condizioni psichiatriche come la schizofrenia.


È evidente che la depressione non ha una causa derivante da un’unica origine. 


Esistono diversi tipi di depressione.


La depressione maggiore comprende sintomi di umore depresso o perdita di interesse.


Il disturbo depressivo persistente (chiamato anche distimia o disturbo distimico) consiste in sintomi di depressione meno gravi che durano molto più a lungo, solitamente per almeno 2 anni.


La depressione perinatale è la depressione che si manifesta durante la gravidanza o dopo il parto,depressione postpartum.


Il disturbo affettivo stagionale è una depressione che va e viene con le stagioni, con sintomi che tipicamente iniziano nel tardo autunno o all’inizio dell’inverno e scompaiono durante la primavera e l’estate.


La depressione con sintomi di psicosi è una forma grave di depressione in cui una persona sperimenta sintomi di psicosi, come deliri (convinzioni disturbanti, false e fisse) o allucinazioni (sentire o vedere cose che gli altri non sentono o vedono).


Le persone con disturbo bipolare (precedentemente chiamato depressione maniacale o malattia maniaco-depressiva) sperimentano anche episodi depressivi, durante i quali si sentono tristi, indifferenti o senza speranza, combinati con un livello di attività molto basso. 


Tutto questo è il risultato di una serie di fattori che si allineano per creare quella che potreste chiamare una tempesta perfetta. 


Il loro nome è fattori di rischio,sfortunatamente, alcuni di essi sono fuori dal nostro controllo mentre altri possono aiutarci. 


- Trauma. 

- Stress

- Storia familiare

-Personalità.

- Solitudine

- Alcol e droghe

- Malattia

- Connettività

- Attività

- Sonno

- Umorismo

mercoledì 25 dicembre 2024

Giudicare definisce noi stessi



Luca e Anna, si trasferiscono in un nuovo quartiere di Napoli.

La mattina, dopo aver fatto colazione, Anna è solita sostare davanti alla finestra, le piace osservare tutto quello che accade nel suo androne di casa, in particolare la sua vicina di casa stendere il  bucato.


Anna benché giovane, ha imparato da sua madre il mestiere della casalinga.


Un lavoro duro a cui lei sin da bambina, aveva mostrato dedizione.


Un giorno, rivolgendosi a suo marito, mentre era dietro i vestiti della finestra, notò che la sua vicina non aveva il bucato limpido.


“ Se venissi a vedere il bucato di Daniela, quanto è sporco” e mentre lo diceva il suo sorriso sarcastico incalzava.


Ogni volta che la sua vicina, stendeva il suo bucato, Anna, faceva lo stesso commento.

Suo marito Luca l’ascoltava senza dire nulla.


Mesi  dopo, Anna  si meravigliò affacciandosi alla finestra di vedere dei panni puliti sullo stendibiancheria di Daniela e lo riferì a Luca.


“Finalmente Daniela, ha imparato a stendere il bucato pulito, chi sa chi glielo ha insegnato!”.


 Luca, non le diede il tempo di imprecare che le rispose:”sono stato io cara Anna, mi sono vegliato di buon mattino e ho pulito i vetri delle nostre finestre”.


Anna non si aspettava un rimprovero simile da suo marito, aveva creduto di essere impeccabile fino ad allora, capì che si era sbagliata.


Da quel momento Anna comprese l’errore grave che aveva fatto nei confronti di Daniela sua vicina giudicandola.


Quello che spesso vediamo quando guardiamo gli altri, dipende dal nostro punto di vista.


 Non giudichiamo troppo velocemente, specialmente se la  visione della vita è offuscata da rabbia, gelosia, negatività o desideri insoddisfatti.


Giudicare una persona non definisce chi è.

Definisce chi siamo.

martedì 24 dicembre 2024

Se ti chiamassi a Natale?




I venti sono di nuovo freddi, le notti sembrano infinite. 


Ovunque vada, c'è un pizzico di gioia nell'aria: canti natalizi, luci che scintillano e persone che si affrettano con i regali in mano. 


Il Natale è arrivato e, per qualche ragione, il mondo sembra vivo e doloroso allo stesso tempo.


 È una strana sensazione, festa ovunque, eppure dentro mi sento vuota. 


Mi sento sola.


Ultimamente, ho pensato di chiamarti, continuo a immaginare di comporre il tuo numero e sentire il suono della linea che si collega. 


Solo una semplice chiamata, qualcosa di piccolo. Potrei dire "Buon Natale" e forse sarebbe sufficiente. 


Non proprio, non sarebbe sufficiente, vorrei chiederti come stai, cosa hai fatto e se questo mese ti sembra freddo come lo è per me.


Mi conosco troppo bene, però, non si fermerebbe lì, le parole uscirebbero fuori prima che potessi fermarle, "Buon Natale, mi manchi". 


Quelle parole hanno così tanto peso. Mi manchi. 


Mi manca tutto di te, il suono della tua voce e il modo in cui hai fatto sentire il mondo un po' meno solo.


E se davvero chiamassi? 


E se rispondessi e, per una volta, il silenzio nella mia vita non fosse così forte?

 E se ti sentissi solo come me, in attesa che qualcuno ti rompa il freddo?


Ma poi i dubbi si insinuano. 


E se non rispondessi? 


E se sentissi la mia voce e ti rendessi conto di essere già andato avanti? 


Non credo che potrei gestire il silenzio dall'altra parte della linea o la possibilità di sentire indifferenza nella tua voce. 


Quella paura tiene il mio telefono sul tavolo, intatto, mentre i minuti si allungano fino a diventare ore e la notte diventa più fredda.


Vorrei essere più coraggiosa. 

Vorrei poter prendere il telefono e comporre il tuo numero senza esitazione. 


Voglio credere che la magia del Natale sistemasse tutto, che forse questa chiamata potrebbe avvicinarci di nuovo, invece, sono qui seduta, a fissare le luci lampeggianti dell'albero di Natale, sentendo il peso delle parole che potrei non riuscire a dire mai.


Il Natale dovrebbe essere un momento di gioia e connessione, una stagione di amore e calore. Ma tutto ciò che sento dentro è il dolore della tua mancanza.


Non so se anche tu mi stai pensando, una parte di me ama credere che lo sia.


Eccomi qui, con il telefono in mano e il tuo nome nella mente. 


Terrò queste parole vicine al mio cuore, anche se non riuscirò mai a dirle ad alta voce: “Buon Natale, mi manchi”.

lunedì 23 dicembre 2024

Ricordi di un Natale che non c’è più

 


L’aria a festa nei giorni di Natale che si respirava quando ero bambina, era come quella canzone che viene voglia di cantare  appena apri gli occhi e senza un perché rimane in testa per tutto il giorno, a me rimaneva per tutto il tempo delle feste. 

La nota d’inizio era data da: “Quando arrivano i miei zii e cugini?” 

Il Natale a casa mia, iniziava dal giorno dell’arrivo dei miei parenti, che sostavano per tutta la durata delle feste. 


Si allestivano i letti nelle varie stanze della grande casa che in quel periodo, diventava armoniosa.


In quei giorni, si preparavano dolci,  pane, taralli, si imbandivano tavole con ogni sorta di vivande e  l’odore aleggiava per tutta la casa.


Si percepiva la festa dal limpido sorriso di mia madre, pronta ad accogliere tutti. 


Ricordo in particolare un angolo della sala più importante della casa, dove c’era il presepe e un albero di Natale allestito con palline e luci colorate.


Mia madre aveva comprato dei pastori grandi di ceramica che venivano messi in prima fila. 


Mio padre, con le scatole di scarpe realizzava le montagne con la carta del pane dove mettevamo i pastorelli e le pecore. 


Io mi divertivo a giocare di nascosto e ogni volta le pecore cascavano.


Che fatica rimetterle a posto, qualcuna era senza una zampa, qualcun’altra le aveva storte perché logorate nel tempo.


C’erano le casette in legno e l’immancabile specchio dove galleggiavano papere e anatre, tutt’attorno il muschio che avevamo comprato.


Quando i miei se ne accorgevano mi buscavo una sgridata 


Con i fili dorati, mio padre preparava l’albero sul quale insieme a lui ci divertivamo a posare le palline colorate ed infine le luci che lo rendevano magico. 


Nei giorni antecedenti mio padre aveva stilato il menù e la lista della spesa fino all’Epifania. 


Erano tempi in cui non esistevano i  centri commerciali e il negozio sotto casa chiudeva per le feste comandate, come pure il fornaio e il fruttivendolo e nessuno si lamentava, bisognava avere pazienza e organizzarsi al meglio e mio padre era un abilissimo generale in questo.


Qualche giorno prima dell’arrivo di mia nonna paterna e mia zia con sua figlia, la mia stanza era stata  tutta  trasformata  in camera da letto quadrupla.


Mia nonna Marietta dormiva sul divano letto, mia zia Maria sul letto a scomparsa dell’armadio, io e mia cugina Giovanna su delle brande trovate in soffitta per la ricorrenza.


Io ricordo che quando andavamo a letto mi divertivo a raccontare a mia cugina di un anno più grande, storie di fantasmi che ci stavano benissimo con il vecchio palazzo e con i rumori di quelle notti affollate. 


La mattina era il momento che adoravo; Il tavolo rotondo della cucina era stato aperto per far sedere tutti.


Per la prima colazione del tempo di Natale, mia madre tirava fuori una caffettiera enorme, era  la grande moka lucida, accanto: latte, piatti colmi di dolci, biscotti. 


La colazione era una festa di sapori, odori, colori con tutti i sorrisi attorno, mani e occhi si intrecciavano sui piatti tra commenti e battute, era tutto un passarsi di cose buone fatte in casa come l’amore semplice. 


I giorni passavano tra giochi e pranzi interminabili, noi avevamo tempo per litigare, azzuffarci, fare pace e giocare a nascondino nelle stanze mentre gli adulti erano in continuo movimento.


A volte inventavamo giochi nuovi che andavano fino al giorno dopo e che continuavano durante le cene con sguardi complici. 


La tombola dopo cena era una cosa seria perché si accodavano altri parenti tutti fratelli e sorelle di mio padre.


Zia Rosa, conservava le cartelle a parte, per evitare che le prendesse qualcun’altro, il perché non si capiva a suo dire le piacevano i numeri da 1 a 6. 


La nonna Marietta mamma di mio padre, raccoglieva i soldi e faceva i premi, era inutile contestare, non si accettavano suggerimenti. 


Il cartellone all’inizio era di mia madre, solo più avanti passava ad altri! 


Noi bambini avevamo le cartelle insieme, io e mia cugina, l’altra mia cugina con suo fratello, ogni numero che usciva dal sacchetto era un’emozione. 


Zio Vincenzo, il marito di mia zia Rosa, al secondo giro lascia il tavolo e preferiva leggere il suo giornale locale, mentre la moglie brontolava e lo invogliava a tornare a giocare, noi ridevamo per quel modo di rimbrottarsi a vicenda sempre uguale negli anni. 


In tv c’erano le canzoni e tutt’attorno un forte profumo di mandarini che mia madre distribuiva, la buccia veniva fatta a pezzettini per segnare sulle cartelle i numeri che venivano tirati fuori. 


Oltre al profumo, i pezzetti di buccia erano più stabili dei fagioli e mia nonna evitava di lanciarci occhiatacce ogni volta che ci muovevamo e il tavolo traballava.


La tombola andava avanti fino a notte tarda, tra un giro di liquore e i vassoi di frutta secca. 


La notte di Natale a mezzanotte meno un quarto si smetteva di giocare. 


Mio padre Giovanni, prendeva lo spumante, zio Vincenzo apriva il panettone, era bravissimo a tagliarlo, e lo distribuiva a pezzi perfettamente uguali così che ognuno non si poteva lamentare di averlo  avuto più piccolo o più grande, mentre mia madre sistemava i bicchieri noi aspettavamo di sentire il primo botto dei fuochi d’artificio. 


La mezzanotte precisa, era tutto un giro di baci e di auguri attorno al grande tavolo della sala da pranzo. 


Dalla finestra si vedevano i fuochi d’artificio. 


Finito il brindisi e mangiato il panettone, mio padre riportava tutti all’ordine e ridendo ciascuno tornava al suo posto e si riprendeva a giocare a tombola che coinvolgeva nuovamente tutta la famiglia.


La tombola era un divertimento continuo, specialmente vedere gli anziani confondere  i numeri (il sessanta con il settanta), ecc.


Per riposarci, ogni tanto, alternavamo qualche giro al sette e mezzo. Noi, come sempre, prendevamo la carta in gruppo e mettevamo dieci lire ciascuno.


 Zia Maria che voleva rifarsi della perdita a tombola, teneva la carta ben coperta sul grande tavolo, purtroppo non aveva fortuna neanche a sette e mezzo  e ripeteva che era inutile, non aveva fortuna! 


Mio nonna Grazia  sonnecchiava facendo finta di parlare con mio padre.


Tra colazioni, pranzi e cene, tra giocate a tombola, caffè e frutta secca, si arrivava all’Epifania.


Mia madre, rimetteva la tombola nella scatola e l’avrebbe conservata fino al Natale successivo. 


La casa si svuotava, il vecchio tavolo del soggiorno, tornava alle sue dimensioni normali. 


C’era qualche piatto in meno, un po’ di bicchieri mancanti, qualche posata che nella confusione era finita nella spazzatura, c’era una montagna di roba da lavare, i letti da riordinare e tra una cosa e l’altra spuntava qualcosa dimenticata, ricordi di quell’aria di Natale dove tutti, costruivamo ricordi, come ogni anno.