
Viviamo in una società che ci chiede continuamente di correre. Corriamo per lavorare, per rispondere a messaggi, per risolvere problemi, per dimostrare qualcosa a qualcuno. Ci muoviamo così velocemente che spesso non ci accorgiamo di avere smesso di abitare la nostra vita. È come se esistessimo, ma non vivessimo davvero. Il pensiero, quello profondo e fertile, quello che fa maturare scelte consapevoli, è stato sostituito dall’impulso e dalla reazione immediata.
Eppure, ritrovare noi stessi richiede un tempo diverso il tempo della riflessione. Quel tempo silenzioso in cui ci fermiamo, ascoltiamo, osserviamo. In cui lasciamo che le domande sedimentino. Non solo la riflessione ci restituisce dignità emotiva. Ci insegna che non siamo obbligati a rispondere subito, ad agire subito, a decidere subito. Rallentare non è un atto di debolezza, è un atto di potere. È come dire mi prendo lo spazio necessario per capire cosa sento, cosa voglio, cosa mi serve.
Quando lo facciamo, cambiano le nostre priorità. Scopriamo che non tutto ciò che ci affanna è essenziale, che molte delle nostre preoccupazioni sono eredità altrui, che certi desideri non appartengono davvero alla nostra anima. È in quel momento che la vita smette di essere un susseguirsi di compiti e diventa un percorso che ci somiglia. Ed è in quel tempo sospeso tra un respiro e il successivo che nascono le scelte più autentiche, quelle che ci portano verso un modo di vivere più sano, semplice e umano.
Ritornare alla riflessione non è nostalgia di un passato lento, è un bisogno nuovo e urgente. Significa tornare alla radice di ciò che siamo esseri capaci di pensare, di sentire, di coltivare il proprio centro. Perché solo quando smettiamo di correre verso l’esterno possiamo finalmente avanzare verso l’interno e trovare lì una versione di noi stessi che non avevamo più il coraggio di guardare.
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