martedì 9 dicembre 2025

L’amore temuto: il mondo interiore delle persone evitanti




Le persone con uno stile evitante non sono incapaci di amare, come spesso vengono etichettate. Al contrario, sentono il bisogno dell’amore quanto chiunque altro, ma lo associano istintivamente al pericolo. Nella loro mente la relazione intima è un territorio instabile, in cui il dolore ha molte più probabilità della gioia. Per questo appaiono distanti, autosufficienti, a volte persino fredde: non perché non provino sentimento, ma perché lo vivono come una minaccia.


Questa diffidenza non nasce nell’età adulta, bensì affonda le radici nell’infanzia. Quando l’amore dei genitori è stato incostante, condizionato o legato alle prestazioni, il bambino ha imparato presto una lezione silenziosa  per essere amato bisogna adeguarsi, controllarsi, non chiedere troppo. In alcuni casi ha imparato anche che affidarsi è rischioso, perché chi dovrebbe proteggerti può ferirti o allontanarsi. Da qui nasce la convinzione profonda che contare su sé stessi sia l’unica vera forma di sicurezza.


Crescendo, questo meccanismo diventa una corazza. L’evitante costruisce una identità fondata sull’autonomia e sull’autocontrollo, ma quando una relazione si fa autentica, la paura si riattiva. L’intimità richiama antiche ferite, e una voce interiore avverte: “Avvicinarsi significa perdere il controllo, soffrire, dipendere”. Così, proprio quando il legame potrebbe approfondirsi, scatta la fuga emotiva.


In questo scenario, il partner non è semplicemente un compagno, ma uno specchio. La persona giusta non è colei che tollera tutto o che ama abbastanza da guarire l’altro, bensì chi rende visibili le crepe senza forzarle. È qualcuno che, con la sua presenza, porta alla luce schemi nascosti, reazioni automatiche, paure mai elaborate. Non consola le difese, ma le mette in discussione, costringendo l’evitante a guardarsi davvero.


Queste relazioni sono intense e spesso dolorose, perché non seguono le narrazioni romantiche tradizionali. Non promettono facilità, ma verità. Possono durare tutta una vita o solo il tempo necessario a innescare un cambiamento profondo. A volte la funzione di quel partner non è restare, ma aprire una porta interiore che fino a quel momento era rimasta chiusa.


L’evitante non cambia perché qualcuno lo ama più forte o con maggiore pazienza. Cambia solo quando riconosce il proprio schema e decide di affrontarlo. L’altro può indicare la strada, ma il passo deve essere suo. È in quel momento che inizia un lavoro autentico su di sé imparare a tollerare la vicinanza, a restare anche quando emerge la paura, a distinguere il presente dal passato.


In questo senso, l’incontro con quella che spesso viene chiamata anima gemella non è necessariamente una storia d’amore ideale. È piuttosto un incontro trasformativo. Come suggeriva lo psichiatra Carl Jung, si tratta di un’attivazione interiore l’altro risveglia parti sopite dell’anima, ciò che è stato negato o represso per sopravvivere. Ma non per creare dipendenza. Al contrario, perché quella completezza venga ritrovata dentro di sé.


Chi evita l’intimità spesso non sa cosa gli manca, perché ha imparato troppo presto a farne a meno. L’incontro giusto non colma quel vuoto dall’esterno, ma lo rende visibile. E solo ciò che diventa visibile può finalmente essere guarito.

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