
I miei e quelli di mia madre li ho donati da tempo a chi più di me aveva bisogno, ma come dare via la giacca di mio padre, dove appoggiavo il viso?
Solo a pensarci, i miei occhi si rigonfiano di lacrime e stupore, prima ancora che di dolore.
Dopo anni, io sono ancora stupita, quella sua assenza mi pare ancora improvvisa.
Ma è giunto il momento di far andare la sua anima e lasciarlo libero di volare, di conservare qualcosa, ma non tutto.
Eppure ci misi tanto tempo a rimuovere i mobili dalla sua stanza da letto che avevo lasciata intatta, adesso tocca alle cose che lui indossava.
Ho tirato fuori dall'armadio camicie che non gli ho mai visto indossare alcune con i cartellini da dove li aveva comprati e altre a me ben care dove ho sentito il suo profumo.
Purtroppo io non le posso indossare sono una donna, il mio babbo per me era un gigante buono.
Chissà come sarebbe vederlo ora e cosa direbbe vedendo me donare tutto di lui.
E c’era qualche bigliettino nella tasca di un cappotto, con dei calcoli segnati sopra dalla sua grafia, di tanti anni di duro lavoro e qualche spicciolo.
Quando babbo ci lasciò, nel suo portafogli avevo trovato tre euro, e noi eravamo tre figli, litigavamo spesso tra noi, ci volle tempo per fare pace.
E ogni volta che facevo la pace con uno di loro, tiravo fuori uno di quegli euro e insieme prendevamo un caffè con quei soldi che avevo trovato.
Come se lui fosse presente.
Come se noi figli condividessimo tutto di lui.
E quando spesi l’ultimo euro del portafogli e la famiglia fu riconciliata per intero, mi mancò quella tradizione.
Ma ieri sera ho trovato questi tre euro giusti per un caffè, sta tornando mio fratello Roberto a giorni da Parigi, andremo a quel bar dove eravamo soliti andare con nostro padre.
Questa volta offre lui.
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