venerdì 13 giugno 2025

Il bambino senza odore


Quando il piccolo Leo nacque, la sala era fredda, non  per la temperatura, ma per l’assenza di calore umano.

Era un parto programmato, cesareo, efficiente, due uomini aspettavano fuori, vestiti con camici sterili e volti tesi.


Uno di loro, Marco, piangeva, l’altro, Julien, teneva stretta una cartelletta con i documenti il contratto, le autorizzazioni, la firma della donna che aveva portato in grembo Leo per nove mesi.


La donna si chiamava Tatiana, aveva ventotto anni, due figli lasciati a casa in Ucraina e uno stomaco contratto non solo dal dolore del parto, ma da un vuoto che non riusciva a nominare.


Quando Leo fu tirato fuori dal suo corpo, aprì gli occhi, non pianse subito, cercò con il naso, istintivamente, un odore che non trovava, un odore che riconoscesse, ma nessuno glielo porse, nessun  petto, nessuna pelle, nessun battito familiare. Solo mani guantate, occhi coperti, luci al neon.


Tatiana lo vide solo per un istante, non  le fu permesso di toccarlo. 

Contratto. 

Firma. 

Clausole. 

Era tutto chiaro,  Leo non era suo figlio.


Fu portato via.


Leo crebbe a Parigi, in un attico luminoso con due padri gentili ma spesso lontani.


 A scuola era bravo, silenzioso, osservatore. Aveva occhi che sembravano ricordare qualcosa che nessuno gli aveva raccontato.


Quando compì otto anni, durante una gita scolastica al museo, vide un quadro che lo turbò profondamente. Una madre che allatta un bambino. C’era  sguardo, c’era odore, il suo corpo reagì con un tremore sottile. Quella scena, lui non l’aveva mai vissuta, era come una favola antica a cui non aveva avuto accesso.


Quella sera, a casa, chiese ai suoi padri:

“Dove sono nato”?


Marco lo prese in braccio, cercando di sorridere.

In un ospedale, amore, sei stato molto desiderato.


E chi mi ha tenuto nella pancia?


Silenzio. Julien cambiò discorso, ma  Leo non dimenticò.


A quindici anni, Leo chiese di sapere la verità. 


L’ottenne. 


Marco, con voce rotta, gli disse che una donna lo aveva portato in grembo, che non era sua madre nel senso classico, che tutto era stato fatto con amore, che avevano scelto il miglior ovulo, la miglior clinica, la miglior opportunità.


Leo ascoltò in silenzio, ma dentro, qualcosa si sgretolava.


Avevo una sorella? chiese, quasi sussurrando.


Julien si irrigidì.


Sì… ma un’altra coppia l’ha adottata, non abbiamo potuto tenerli entrambi. Era complicato, costava molto, e… ci dissero che non sarebbe stato un problema.


Leo non rispose. Quella notte sognò una bambina con gli stessi occhi suoi, in un altro letto, in un’altra città. Due corpi che si erano toccati per nove mesi, e che nessuno aveva ritenuto importante tenere insieme.


Anni dopo, Leo decise di partire, cercò Tatiana, la trovò in un villaggio dimenticato. Aveva i capelli grigi prima del tempo. Quando lo vide, sgranò gli occhi, non disse nulla. Ma il corpo lo riconobbe.


Lo abbracciò.


Leo, per la prima volta, sentì un odore. Era tenue, profondo, vero, come un bosco dopo la pioggia. Non sapeva se era l’odore della madre, della memoria, o della pelle che un giorno lo aveva contenuto, ma capì che nessun contratto, nessuna scelta adulta, nessun desiderio aveva il diritto di cancellare quel legame.


Leo continua a cercare sua sorella. Ha pochi indizi, ma un legame misterioso nel sangue. Ogni tanto la sogna, dice che quando la troverà, non parleranno molto. Si siederanno vicini, in silenzio perché i gemelli non hanno bisogno di spiegazioni, solo di riconoscersi e finalmente, di restare insieme.

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