
Giungono gli ultimi giorni di scuola come la coda lunga e stanca di un tempo già esausto. Le aule si svuotano lentamente, ma restano i suoni sfibrati, gli sguardi opachi, i residui minuti che si allungano senza grazia.
È una fatica che non è solo fisica, ma mentale, morale una stanchezza che ha perso il privilegio del nobile sacrificio, trasformandosi in abitudine al logorio. Non c’è più neppure l’ombra dell’attesa viva per una pausa o una celebrazione tutto è trascinato, tirato per le giacche logore di una burocrazia insensata, incollato con scotch a un’idea sbiadita di educazione.
I ragazzi camminano nei corridoi come ombre di sé stessi. Qualcuno tenta ancora un sorriso, un gesto d’intesa, ma la maggior parte ha già staccato la mente.
I quaderni si chiudono come palpebre pesanti, i banchi si spogliano dalle storie scritte sopra, e persino l’aria sembra aver perso il profumo dell’inizio. È la scuola che si svuota, ma prima ancora è l’entusiasmo a essersi ritirato. Restano i muri, i cartelloni stanchi, le sedie in bilico una fotografia in dissolvenza.
Per gli studenti del quinto anno, non è solo la fine di un ciclo scolastico è la soglia di qualcosa che ancora non ha contorni chiari. Le aule che per cinque anni li hanno visti crescere, ridere, sbagliare, imparare, ora si svuotano come camere di un tempo che non tornerà.
C’è un silenzio diverso nell’aria, non è più quello del rispetto o della distrazione, ma dell’attesa. Un’attesa tesa, sospesa.
Si avvicinano gli esami di maturità e, con essi, arrivano le domande che nessuno ha il coraggio di pronunciare ad alta voce
Sarò all’altezza?.
Ma dentro, più ancora delle domande scolastiche, ne premono altre, più profonde
Cosa farò dopo?
Chi voglio diventare?
Eppure, nel ciclo delle cose, ogni paura ha il volto della crescita. E ogni esame è solo una porta si può tremare prima di aprirla, si può sbagliare nell’attraversarla, ma è l’atto stesso di provarci che rende degni del nome che questo traguardo porta alla maturità.
Settembre tornerà, come ogni anno, riapriranno i cancelli, si riaccenderanno i corridoi, e quelle stesse aule ora svuotate si riempiranno di nuova energia.
La speranza è che la stanchezza lasci spazio a un rinnovato senso che ciò che oggi appare logoro possa trasformarsi in esperienza, accoglienza, significato.
Perché ogni nuovo ingresso non sia solo un inizio, ma un invito sincero a vivere la scuola non come fatica vuota, ma come luogo vero di crescita e scoperta.
A coloro, che ora lasciano la scuola, che possano affrontare questi ultimi giorni non solo con la tensione dell’esame, ma con la lucidità di chi comprende che il passato non va dimenticato, ma portato con sé. La vera prova non è il voto finale, ma il modo in cui sapranno guardare avanti con coraggio, anche nella paura, perché non sono più soltanto studenti, sono viaggiatori alla prima vera svolta.
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