
Era una mattina luminosa quando io e una mia conoscente andammo a far visita a Gianna La porta di casa era socchiusa e ci accolse un profumo lieve di caffè e vernice fresca. La casa di lei aveva qualcosa di intimo e sereno, un calore che non veniva solo dal sole che entrava dalle finestre, ma da una quiete gentile che si respirava ovunque.
Mentre parlavamo nel soggiorno, una voce sommessa ci fece voltare. Giulio, il suo bambino, era seduto sul pavimento del corridoio, accanto a un barattolo di vernice. Aveva un pennello stretto tra le dita e un’espressione concentrata, come se stesse compiendo qualcosa di molto importante.
Senza dire una parola, tracciava colori vivi sul muro giallo, rosso, blu, arancio. I toni si mescolavano come in un sogno, e pian piano, da quel turbinio di luce, prese forma il suo capolavoro.
Rimanemmo in silenzio a guardarlo, quasi temendo di interrompere la magia. Giulio aggiunse un ultimo tocco, poi sollevò lo sguardo verso il suo disegno, come se lo vedesse animare. C’era in quel momento qualcosa di puro, difficile da spiegare la libertà che nasce nei bambini quando nessuno la ferma.
La madre lo osservava senza dire nulla. Nei suoi occhi si leggeva l’emozione di chi sa che a volte i figli insegnano più di quanto imparino.
Quando ce ne andammo, mi voltai un’ultima volta verso quel muro il suo dipinto sembrava davvero reale e pensai che forse Giulio non aveva solo dipinto, ma liberato qualcosa dentro di sé e, un po’, anche dentro di noi.
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