domenica 12 ottobre 2025

La ciotola e il bambino

 


Luis teneva la ciotola con entrambe le mani, le dita screpolate, nere di terra e freddo. Il bordo ruvido gli graffiava i palmi, ma lui non se ne accorgeva quella ciotola era la sua unica certezza. Dentro, un po’ di minestra fumante, qualche pezzo di carota, un’ombra di legume che galleggiava come una promessa fragile. Il profumo era lieve, quasi invisibile, ma per lui era vita.

Aveva imparato a non lamentarsi. Gli adulti attorno a lui avevano occhi spenti e parole brevi, come se il dolore avesse tolto anche la voce. Da quando la guerra aveva inghiottito tutto  la casa, il padre, la scuola, persino il cane Luis era diventato un piccolo uomo costretto a capire troppo presto che cosa significa sopravvivere.


La mattina si metteva in fila davanti alla mensa dei soccorsi. Le scarpe rotte, la giacca troppo grande, gli occhi spalancati su un mondo che non aveva più colori. Guardava gli altri bambini, tutti simili a lui, ognuno con la propria ciotola. Non parlavano solo il rumore dei passi nel fango e il respiro del freddo riempivano l’aria.


Quando finalmente riceveva la sua porzione, Luis si spostava in un angolo, lontano dagli sguardi, e mangiava piano, con rispetto. Ogni cucchiaio era una vittoria contro la fame, ogni goccia di brodo un piccolo atto di gratitudine. Ma c’era anche qualcosa di più profondo in quella ciotola lui vedeva la presenza della madre. La ricordava accanto al fuoco, piegata sul paiolo, che mescolava la zuppa con gesti lenti e dolci, mentre la neve fuori cadeva leggera.


Ora non c’era più né fuoco né neve solo il fumo delle case distrutte e il silenzio. Eppure, ogni volta che stringeva la ciotola, Luis sentiva ancora quella voce lontana che gli diceva che non c’è nulla da tenere e che non sei solo.


La sera, dopo aver mangiato, la lavava con un po’ d’acqua sporca e la metteva vicino a sé, prima di addormentarsi. Era il suo unico oggetto, il suo compagno di viaggio, la prova che la bontà anche quella minuscola, quella che passa di mano in mano in un gesto semplice  può salvare una vita.


E se qualcuno avesse potuto guardarlo davvero, avrebbe capito.

Avrebbe visto che in quel bambino non c’era solo fame di pane, ma fame di sguardi, di carezze, di pace. Fame d’amore.


Gli adulti dimenticano spesso quanto possa essere immenso un piccolo gesto. Una ciotola riempita, un sorriso dato, una mano che non si ritrae. Luis non chiedeva un mondo perfetto, solo un po’ di umanità e  forse è proprio questo che i grandi dovrebbero imparare dai bambini come lui che la vita non si misura da ciò che possediamo, ma da ciò che riusciamo a condividere, perché a volte, nel silenzio di un bambino e nella povertà di una ciotola, si nasconde la più grande lezione d’amore che un adulto possa ricevere.

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