giovedì 16 ottobre 2025

Il quaderno senza nome



Nella piccola aula illuminata da una luce fioca che filtrava attraverso vetri appannati, sedeva un bambino dal volto segnato di polvere e silenzi. Le sue mani, intrecciate sopra un quaderno vuoto, sembravano cercare il coraggio di scrivere qualcosa che non riusciva a dire. Si chiamava Luca, ma a scuola nessuno lo chiamava davvero. Per gli altri era “quello nuovo”, “il bambino del casolare”, “il figlio del contadino”.


Ogni mattina percorreva a piedi diversi chilometri di strada sterrata, con le scarpe logore e la giacca di jeans troppo grande per le sue spalle magre. Non portava con sé merende né colori, solo quel quaderno bianco, dono di sua madre che, nonostante la miseria, gli aveva sussurrato di scrivere quello che il mondo non voleva sentire.


Ma Luca non sapeva da dove cominciare. Le parole gli sembravano troppo grandi, troppo pesanti per entrare in quelle righe ordinate. Così, restava in silenzio, osservando gli altri bambini che ridevano, che alzavano la mano, che vivevano vite leggere. Lui invece ascoltava, assorbiva tutto il fruscio delle pagine, le voci, il gesso che strideva sulla lavagna.


Un giorno, la maestra si avvicinò al suo banco. Vide quel quaderno ancora intatto e gli chiese con dolcezza del perché non scriveva 


Il bambino la guardò con gli occhi scuri, profondi, e rispose che se cominciava, non sapeva se si sarebbe fermato.


Fu allora che la maestra capì. Non era l’ignoranza a tenerlo muto, ma il peso di un mondo che nessuno gli aveva mai chiesto di raccontare. Gli mise una mano sulla spalla e gli suggerì di scrivere tutto.


Quel giorno, Luca aprì il suo quaderno e iniziò a riempirlo. Le sue parole erano semplici, ma vere parlavano di pioggia e fame, di animali, di sogni, di una madre che cantava per non piangere. Ogni riga era una piccola liberazione, un filo che lo legava al mondo invece di escluderlo.


Anni dopo, quel quaderno ingiallito sarebbe rimasto su una scrivania, in una casa che profumava ancora di terra e legna. E chiunque lo avesse aperto avrebbe sentito la voce di un bambino che, nel suo silenzio, aveva imparato la cosa più difficile di tutte trasformare il dolore in parola, e la parola in speranza.

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