venerdì 31 ottobre 2025

Capire le vere radici dell’aggressività








L’aggressività è una delle espressioni emotive più controverse dell’essere umano, perché viene spesso confusa con la cattiveria o con la violenza. In realtà, la psicologia la considera una reazione naturale e antica, radicata nell’istinto di sopravvivenza. 

Fin dai tempi primitivi, reagire con forza o con rabbia era un modo per difendersi da un pericolo, proteggere il proprio territorio o affermare la propria posizione nel gruppo. Oggi, però, le minacce non sono più animali feroci o nemici reali sono parole, giudizi, frustrazioni quotidiane, sensazioni di esclusione o mancanza di riconoscimento. Eppure il cervello continua a reagire come se fosse in pericolo.


La psicologia individua nella frustrazione una delle cause principali dell’aggressività. Quando una persona desidera qualcosa e non riesce a ottenerlo che si tratti di attenzione, affetto, rispetto o controllo si genera una tensione interna difficile da gestire. Questa tensione, se non trova una via di sfogo sana, si accumula e si trasforma in rabbia. È come se l’energia emotiva restasse intrappolata dentro, fino a esplodere. In questo senso, la rabbia non è “il problema”, ma un segnale che qualcosa non sta funzionando un bisogno non viene ascoltato, un limite è stato oltrepassato, una ferita antica è stata toccata.


Dietro molte reazioni aggressive, infatti, si nasconde la paura. Paura di essere rifiutati, giudicati, feriti o non compresi. Quando ci si sente vulnerabili, si può reagire cercando di riprendere il controllo con la forza o con l’attacco. È un modo inconscio per proteggersi dal dolore ma così, invece di comunicare ciò che si prova, si alzano muri. 


La rabbia allora diventa una corazza, una difesa che spesso allontana proprio chi potrebbe capire. Anche la biologia ha un ruolo importante. L’aggressività è influenzata dall’attività di alcuni neurotrasmettitori come la dopamina, e dagli ormoni dello stress, come l’adrenalina. 


Quando il corpo percepisce una minaccia, questi ormoni preparano all’azione, accelerano il battito, aumentano la tensione muscolare e riducono la capacità di ragionare con lucidità. Per questo, nei momenti di rabbia intensa, si “perde la testa” la parte emotiva prende il sopravvento su quella razionale.


A tutto questo si sommano le esperienze di vita. Chi cresce in ambienti in cui la rabbia viene repressa o, al contrario, espressa in modo violento, impara a gestirla in modo disfunzionale. Alcuni diventano ipercontrollati, incapaci di manifestare le proprie emozioni, altri esplodono al minimo stimolo. L’educazione emotiva, purtroppo, è un terreno ancora poco coltivato, ma fondamentale per insegnare fin da piccoli che la rabbia può essere ascoltata, compresa e trasformata.


Riconoscere e gestire l’aggressività non significa eliminarla, ma imparare a darle una forma costruttiva. La rabbia può diventare una forza di cambiamento se usata per difendere i propri diritti, per dire “basta” a un’ingiustizia, per affermare i propri confini in modo sano. Serve però consapevolezza capire quando stiamo reagendo per difenderci e quando, invece, stiamo solo ripetendo vecchi schemi.


In fondo, l’aggressività ci parla di noi dei nostri limiti, delle nostre ferite, dei nostri bisogni nascosti. Trasformarla in consapevolezza significa trasformare la reazione in comprensione, la rabbia in voce, l’energia distruttiva in forza vitale, perché dietro ogni esplosione c’è una parte che chiede soltanto di essere vista, ascoltata e capita.

giovedì 30 ottobre 2025

Giulio e i colori









Era una mattina luminosa quando io e una mia conoscente andammo a far visita a Gianna La porta di casa era socchiusa e ci accolse un profumo lieve di caffè e vernice fresca. La casa di lei aveva qualcosa di intimo e sereno, un calore che non veniva solo dal sole che entrava dalle finestre, ma da una quiete gentile che si respirava ovunque.


Mentre parlavamo nel soggiorno, una voce sommessa ci fece voltare. Giulio, il suo bambino, era seduto sul pavimento del corridoio, accanto a un barattolo di vernice. Aveva un pennello stretto tra le dita e un’espressione concentrata, come se stesse compiendo qualcosa di molto importante.


Senza dire una parola, tracciava colori vivi sul muro giallo, rosso, blu, arancio. I toni si mescolavano come in un sogno, e pian piano, da quel turbinio di luce, prese forma il suo capolavoro.


Rimanemmo in silenzio a guardarlo, quasi temendo di interrompere la magia. Giulio aggiunse un ultimo tocco, poi sollevò lo sguardo verso il suo disegno, come se lo vedesse animare. C’era in quel momento qualcosa di puro, difficile da spiegare la libertà che nasce nei bambini quando nessuno la ferma.


La madre lo osservava senza dire nulla. Nei suoi occhi si leggeva l’emozione di chi sa che a volte i figli insegnano più di quanto imparino.


Quando ce ne andammo, mi voltai un’ultima volta verso quel muro il suo dipinto  sembrava davvero reale e pensai che forse Giulio non aveva solo dipinto, ma liberato qualcosa dentro di sé e, un po’, anche dentro di noi.

mercoledì 29 ottobre 2025

Perché l’uomo s’innamora




Innamorarsi è un fenomeno complesso che attraversa corpo, mente e storia personale, ma se proviamo a leggere tutto come un unico filo possiamo vedere come diversi elementi si intreccino fino a produrre quella sensazione che chiamiamo amore. Innanzitutto c’è una risposta biologica immediata il corpo riconosce stimoli piacevoli e li premia con sostanze che generano eccitazione, desiderio e piacere. 


Quel primo sussulto, lo sguardo che trattiene, il cuore che accelera, non sono soltanto immagini romantiche sono segnali chimici che rendono il contatto con l’altro memorabile e ripetibile, ma la biologia da sola non spiega perché scegliamo proprio quella persona e non un’altra.


Accanto alla chimica c’è il bisogno emotivo. Ogni persona porta dentro un insieme di mancanze, desideri e fragilità che cerca, spesso in modo inconsapevole, di colmare. Quando incontriamo qualcuno che in qualche modo risponde a quel bisogno  che ci fa sentire accolti, compresi, ammirati o al sicuro si crea una risonanza profonda. Non è sempre questione di perfezione a volte l’attrazione nasce perché l’altro riflette una parte di noi che riconosciamo o che vorremmo sviluppare. Questa risonanza ha radici nel passato la storia familiare, gli affetti dell’infanzia, le prime relazioni modellano i nostri modelli d’amore e determinano chi troviamo rassicurante o interessante.


Il senso narrativo gioca un ruolo importante. Ci innamoriamo anche di come l’altro si inserisce nella nostra storia personale ci pare che la sua presenza dia senso a ciò che abbiamo vissuto e a ciò che immaginiamo del futuro. L’innamoramento costruisce aspettative e proiezioni; nei primi momenti vediamo potenzialità, non solo realtà immaginiamo complicità, progetti, una versione migliore di noi stessi. Questa proiezione è una forza creativa, che può nutrire la relazione quanto, se fuori controllo, può illudere.


C’è poi un aspetto sociale e culturale il contesto in cui viviamo insegna modelli di bellezza, ruoli e norme relazionali. Le aspettative sociali influenzano chi riteniamo desiderabile o “adatto” e come interpretiamo i segnali dell’altro. Le storie che abbiamo ascoltato nei film, nei libri, nella famiglia  colorano il modo in cui viviamo l’innamoramento, dandogli forme riconoscibili ma anche limiti. Infine, l’innamoramento è esperienza dinamica non è solo l’istante in cui tutto appare perfetto, ma un processo che può nutrirsi di scoperta, cura e impegno, oppure svanire quando la routine, le differenze e le difficoltà emergono.


In conclusione, l’uno si innamora perché in un dato momento si intrecciano elementi fisici, bisogni emotivi, ricordi personali, speranze future e segnali culturali. È un incontro tra ciò che siamo e ciò che desideriamo diventare, mediato da chimica e significato. 


L’innamoramento, così, è insieme un riflesso del corpo e una costruzione del senso breve abbaglio per alcuni, profondo progetto di vita per altri, ma sempre un’esperienza che parla di noi delle nostre mancanze, delle nostre aspettative e della nostra capacità di riconoscere nell’altro un possibile compagno di viaggio.

martedì 28 ottobre 2025

Adolescenti online una gabbia invisibile



Negli ultimi anni, la vita dei ragazzi si è spostata sempre più sullo schermo. Passano in media fino a otto ore al giorno online, immersi in piattaforme digitali che sembrano offrire tutto socialità, svago, informazione e perfino rifugio nei momenti di solitudine. Ma dietro quella connessione costante si nasconde un meccanismo ben più complesso, e spesso pericoloso per la salute mentale.

Le piattaforme digitali che popolano le giornate degli adolescenti non sono progettate per il loro benessere, ma per catturare la loro attenzione il più a lungo possibile. Gli algoritmi che regolano ciò che vediamo non pensano alla serenità o alla crescita personale il loro obiettivo è mantenerci connessi, spingendoci a cliccare, scorrere, reagire. 


È un sistema che alimenta dipendenza e ansia, tanto da essere definito da alcuni esperti come una “dipendenza comportamentale” qualcosa che non si assume con una siringa o una pillola, ma con un dito che scorre sullo schermo.


Molti adolescenti finiscono per confrontarsi continuamente con vite perfette e corpi ideali, sentendosi inadeguati. Altri si rifugiano nei social per colmare un vuoto, ma ne escono più soli e confusi. I ritmi del sonno cambiano, l’attenzione cala, la mente resta in uno stato di allerta costante.


 Il cervello, ancora in fase di sviluppo, si abitua a stimoli rapidi e continui, perdendo la capacità di annoiarsi o di concentrarsi su qualcosa per più di pochi minuti.


Eppure, non tutto è negativo. Il digitale può essere anche uno spazio di creatività, conoscenza e connessione reale, se usato con consapevolezza. Serve però imparare a riconoscere quando il confine tra uso e abuso viene superato. Limitare il tempo online, fare pause, coltivare rapporti veri e attività concrete diventa una forma di tutela per la mente e per il cuore.


Gli adolescenti hanno bisogno di adulti presenti che non giudichino, ma li aiutino a capire come difendersi da un mondo virtuale che sa essere affascinante e crudele allo stesso tempo. La sfida di oggi non è spegnere gli schermi, ma accendere la consapevolezza.

lunedì 27 ottobre 2025

Lo sport come valvola di sfogo per la mente dei ragazzi



Lo sport non è solo un insieme di movimenti, regole e competizioni: è una forma di equilibrio che unisce corpo e mente. Per molti ragazzi rappresenta un rifugio sicuro, un modo per esprimere ciò che non riescono a dire a parole. 

L’adolescenza è un periodo complesso, fatto di cambiamenti fisici, emotivi e sociali. Spesso le tensioni psicologiche si accumulano e diventano difficili da gestire. In questo contesto, lo sport si trasforma in un linguaggio alternativo, capace di liberare energie e di dare una direzione positiva alle emozioni.

Quando un ragazzo scende in campo, entra in piscina o sale su una bicicletta, per un po’ si lascia alle spalle ansie, pensieri e preoccupazioni. Il corpo si muove, il respiro si fa più profondo, la mente si alleggerisce. 


L’attività fisica stimola la produzione di sostanze che aiutano a combattere lo stress e a migliorare l’umore, ma i benefici non sono solo biologici lo sport educa alla costanza, alla disciplina e al rispetto. 


Ogni allenamento è una lezione di vita in cui si impara che la fatica è parte del percorso, che gli errori servono a migliorare e che la vittoria non è solo un traguardo, ma anche la capacità di rialzarsi dopo una caduta.


Lo sport aiuta i ragazzi a conoscersi meglio, a misurarsi con i propri limiti e a scoprire le proprie potenzialità. Offre un contesto in cui possono confrontarsi in modo sano, imparare la collaborazione e il senso di appartenenza. 


In una società in cui molti giovani si sentono isolati o sommersi dalle pressioni, la squadra o il gruppo sportivo può diventare una seconda famiglia un luogo dove ci si sostiene, si condividono obiettivi e si costruisce fiducia reciproca.


C’è poi un aspetto ancora più profondo; lo sport insegna a gestire le emozioni. La rabbia, la delusione, la paura, ma anche la gioia e l’entusiasmo trovano un canale attraverso cui esprimersi. Questo rende i ragazzi più equilibrati e consapevoli. Imparano che la tensione non va repressa, ma trasformata in energia utile.


In un’epoca dominata da schermi e ritmi veloci, lo sport rimane uno dei pochi spazi autentici dove il tempo si misura con il battito del cuore e con il respiro. È un invito a tornare al contatto con sé stessi e con gli altri, a sentirsi vivi, liberi e forti.


Per questo lo sport, oltre a fare bene al corpo, diventa un alleato prezioso della mente un modo concreto per difendersi dalle tensioni psicologiche e costruire un equilibrio che durerà nel tempo.

domenica 26 ottobre 2025

Quando i sogni ci parlano attraverso la paura



Sognare è una delle esperienze più misteriose e affascinanti che viviamo ogni notte. Durante il sonno, la mente continua a lavorare, anche se il corpo riposa. Attraverso i sogni, essa rielabora emozioni, ricordi e pensieri che durante il giorno non trovano spazio

È come se il cervello approfittasse del silenzio della notte per mettere ordine dentro di noi, usando simboli e immagini che parlano un linguaggio tutto loro. Per questo, ogni sogno, anche il più strano o spaventoso, ha sempre un significato profondo e personale.


Tra i sogni più comuni c’è quello di essere inseguiti. A livello psicologico, questo tipo di sogno non parla tanto di una minaccia reale, quanto di qualcosa da cui stiamo cercando di scappare nella vita quotidiana. 


L’inseguimento rappresenta infatti la fuga da una paura, da un problema irrisolto o da un’emozione che non vogliamo affrontare. Chi o ciò che ci insegue può essere l’immagine simbolica di un disagio interiore un senso di colpa, una responsabilità evitata o una parte di noi che chiede attenzione.


Quando sogniamo di fuggire, spesso proviamo ansia o fatica, proprio come nella realtà quando ci sentiamo sotto pressione. È come se la mente volesse mostrarci che stiamo cercando di sfuggire a qualcosa che invece dovremmo guardare in faccia. In certi casi, il sogno arriva nei momenti in cui la vita ci chiede di cambiare, ma noi non ci sentiamo pronti.


Essere inseguiti nei sogni, quindi, non è un segno negativo ma un messaggio della mente. Ci invita a fermarci e a chiederci da cosa stiamo fuggendo davvero. Forse da una scelta difficile, da un sentimento che ci spaventa o da una parte di noi che abbiamo messo a tacere.


Quando impariamo ad ascoltare i sogni e a capire ciò che vogliono dirci, smettono di farci paura. Diventano invece una guida preziosa, capace di aiutarci a comprendere meglio noi stessi e a ritrovare un senso di equilibrio tra ciò che viviamo e ciò che sentiamo.

sabato 25 ottobre 2025

Capire il disturbo del linguaggio nei bambini





Il disturbo primario del linguaggio è una difficoltà che riguarda lo sviluppo del linguaggio nei bambini, non dovuta a cause evidenti come problemi di udito, ritardo cognitivo o disturbi neurologici. Si manifesta fin dai primi anni di vita e può influenzare in modo significativo la capacità di comunicare e di apprendere.

Riconoscerlo non è sempre facile, perché ogni bambino ha i propri tempi nel parlare. Tuttavia, alcuni segnali possono far sospettare la presenza di un disturbo il linguaggio che si sviluppa più lentamente rispetto ai coetanei, un vocabolario molto limitato, difficoltà nel costruire frasi corrette o nel comprendere ciò che gli altri dicono. 


Spesso questi bambini si esprimono con poche parole, faticano a trovare i termini giusti o si confondono quando devono raccontare qualcosa.Gli effetti del disturbo primario del linguaggio si estendono anche all’apprendimento scolastico. Il linguaggio è infatti la base per comprendere le spiegazioni, leggere, scrivere e studiare.


 Se il bambino non riesce a esprimersi o a capire bene le parole, può incontrare difficoltà in materie come l’italiano, la matematica nelle consegne scritte ma anche nello sviluppo delle relazioni con i compagni, sentendosi spesso frustrato o isolato.


La buona notizia è che, con un intervento tempestivo, molti progressi sono possibili. La logopedia, insieme al sostegno della scuola e della famiglia, aiuta il bambino a migliorare la comprensione e la produzione del linguaggio.Ciò che conta di più è non sottovalutare i segnali e intervenire presto riconoscere il problema significa dare al bambino la possibilità di comunicare, imparare e crescere con serenità.

venerdì 24 ottobre 2025

Parlare inglese senza tradurre



Molte persone studiano inglese per anni, conoscono regole, vocaboli e tempi verbali, ma quando devono parlare si bloccano. Il motivo è semplice pensano ancora nella propria lingua e poi traducono mentalmente. Questo passaggio crea confusione, rallenta il discorso e toglie naturalezza. Chi parla davvero bene inglese non traduce, ma pensa direttamente in inglese.

Raggiungere questa fluidità è possibile, ma richiede un cambiamento nel modo di apprendere. La lingua va vissuta, non solo studiata. Ascoltare canzoni, guardare film o brevi video in inglese, leggere frasi quotidiane o brevi articoli aiuta a creare familiarità con i suoni, le espressioni e il ritmo del linguaggio. Anche pochi minuti al giorno sono preziosi, purché costanti. In questo modo il cervello si abitua naturalmente a riconoscere e comprendere senza tradurre. Non serve costruire frasi perfette o complesse. 

All’inizio può essere utile pensare in modo semplice, senza preoccuparsi troppo della grammatica o della perfezione. Con il tempo, la mente si abitua a ragionare in inglese e le frasi cominciano a fluire in modo spontaneo, naturale, senza passare dall’italiano.


 È un processo graduale, ma ogni piccolo passo rafforza la sicurezza e la spontaneità. È come insegnare alla mente un nuovo modo di ragionare, senza la necessità di passare dall’italiano.


Molti restano bloccati perché hanno paura di fare errori, ma è proprio sbagliando che la lingua diventa viva dentro di noi. Ogni parola detta, anche con imperfezioni, è un passo avanti. La fluidità nasce dalla pratica costante, non dalla perfezione grammaticale. L’importante è comunicare, farsi capire, entrare nel flusso della lingua.


Quando si impara a vivere l’inglese, a pensare in inglese e a non temere gli errori, la lingua smette di essere una materia da studiare e diventa una seconda voce nella mente. E allora, finalmente, si potrà dire di parlare inglese con naturalezza, senza tradurre.

giovedì 23 ottobre 2025

Quando l’arte cura l’anima







L’arte non è soltanto una forma di espressione estetica, ma un vero e proprio linguaggio dell’anima. Ogni gesto creativo, che sia il tratto di un pennello, una parola scritta su un foglio, una melodia improvvisata o una danza spontanea, diventa un modo per comunicare ciò che spesso le parole non riescono a dire. 

Dentro ognuno di noi esiste un mondo interiore fatto di ricordi, sensazioni e pensieri che restano intrappolati nel silenzio. L’arte, in questo senso, apre una porta verso quella parte nascosta di noi, permettendoci di esplorare e di dare forma alle emozioni più profonde.


Quando una persona si dedica a un’attività artistica, non importa quale, entra in uno spazio di ascolto e di libertà. Il tempo sembra rallentare, i pensieri si fanno più chiari, e ciò che sembrava confuso inizia a prendere un senso. 


L’arte, infatti, non giudica e non pretende accoglie. È uno spazio sicuro dove ognuno può esprimersi senza paura di sbagliare, perché il valore non sta nel risultato finale, ma nel percorso stesso. È in quel processo che avviene qualcosa di straordinario la mente si alleggerisce, il cuore si apre, e la persona si riconnette con la propria autenticità.


Per questo motivo, oggi sempre più psicologi e terapeuti riconoscono il potere curativo dell’arte. L’arteterapia, la musicoterapia e la scrittura terapeutica vengono utilizzate per aiutare chi vive momenti di disagio, stress o sofferenza interiore. 


Attraverso l’arte, le persone riescono a dare voce al dolore, alla rabbia o alla tristezza, trasformandoli in immagini, suoni o parole. In questo modo le emozioni non restano bloccate dentro, ma trovano una via d’uscita che libera e rigenera.


Creare qualcosa con le proprie mani o con la propria mente restituisce fiducia e senso di valore personale. Ogni piccolo gesto creativo, anche il più semplice, è una dimostrazione di vita: significa affermare “io ci sono, io sento, io creo”. Questo processo non solo aiuta a guarire le ferite emotive, ma stimola anche la curiosità, la fantasia e la capacità di vedere le cose con occhi nuovi.


L’arte diventa così una forma di meditazione attiva, un modo per ritrovare se stessi e rimettere in equilibrio ciò che dentro si era spezzato. E la cosa più bella è che non serve essere artisti per sperimentarla: basta lasciarsi andare, dare fiducia ai propri gesti e permettere all’immaginazione di guidare.


In fondo, l’arte non chiede perfezione, ma sincerità. È nella libertà di esprimersi senza paura, nella possibilità di raccontare chi siamo attraverso i colori, le parole o i suoni, che nasce la sua forza più grande. 


L’arte cura perché ascolta, perché accoglie e perché ci ricorda che dentro ognuno di noi vive un piccolo artista che sa ancora meravigliarsi, inventare e trasformare il dolore in bellezza.

mercoledì 22 ottobre 2025

Quando il cane parla senza parole



Il linguaggio del cane è fatto di silenzi, sguardi, movimenti e piccoli gesti che raccontano molto più di mille parole. Ogni battito di coda, ogni sguardo inclinato, ogni postura del corpo è un messaggio che esprime emozioni, intenzioni e bisogni. Comprendere questo linguaggio significa entrare davvero nel mondo del nostro amico a quattro zampe.


Quando un cane scodinzola, ad esempio, non sempre è felice bisogna osservare la posizione e la velocità della coda. Se è alta e si muove lentamente, il cane potrebbe essere attento o dominante; se è bassa e vibra veloce, è probabile che sia felice o eccitato. Le orecchie, poi, sono come antenne dritte e in avanti indicano curiosità o attenzione, piegate all’indietro segnalano paura o sottomissione.


Anche lo sguardo parla. Un cane che evita il contatto visivo sta mostrando rispetto o disagio, mentre uno sguardo fisso e prolungato può essere una sfida. Il corpo, infine, è il suo modo più sincero di esprimersi un cane rilassato ha movimenti sciolti, uno teso tiene i muscoli rigidi e si muove a scatti.


Capire il linguaggio non verbale del cane significa imparare ad ascoltarlo con gli occhi e con il cuore. È un dialogo silenzioso, fatto di fiducia e rispetto reciproco, che rafforza ogni giorno il legame tra uomo e animale.

Nel momento in cui riusciamo a interpretare quei piccoli segnali, scopriamo che i cani non smettono mai di parlarci siamo noi, spesso, a non saperli ancora ascoltare.


E proprio perché ci parlano senza voce, non possiamo ignorarli quando diventano scomodi o impegnativi. Un cane non è un giocattolo da regalare per capriccio o da abbandonare quando arriva l’estate. È un essere vivente che prova amore, paura, gioia e solitudine come noi.

Chi sceglie di accoglierlo nella propria vita si assume una responsabilità profonda quella di esserci sempre. Perché un cane non tradisce, non dimentica e continua ad aspettare, anche quando noi ci allontaniamo. Non abbandoniamoli mai nei loro occhi c’è la fiducia più pura che un essere umano possa ricevere.

martedì 21 ottobre 2025

L’avvocato, tutta colpa del singolo o del sistema?

 





Dire che “l’avvocato di oggi è per il 90% corrotto” è una frase dura, che nasce più da una sensazione collettiva che da un dato reale. Spesso sono le notizie di scandali, processi truccati o casi di abuso a far crescere l’idea che la professione sia ormai irrimediabilmente compromessa. Ma tra la percezione e la realtà c’è una distanza che va compresa, perché confondere le due cose porta solo a generalizzazioni ingiuste.

È vero, la corruzione esiste e in alcuni contesti assume forme gravi, ma non si può ridurre l’intera categoria a un’unica immagine. Ci sono avvocati che esercitano con profonda integrità, mossi da un autentico senso di giustizia, e altri che piegano la professione a interessi personali o a logiche di potere. È nella natura umana che convivano entrambe le spinte, ma il problema diventa più ampio quando la corruzione non riguarda solo il singolo, bensì l’ambiente che lo circonda.

Anche le istituzioni che rappresentano la categoria hanno una responsabilità importante ordini, associazioni e consigli dovrebbero garantire una reale autoregolamentazione, vigilando su comportamenti scorretti e difendendo l’etica della professione. Se questo meccanismo si indebolisce, la fiducia collettiva si sgretola.


E infine c’è il livello più alto, quello del sistema giudiziario e politico, dove leggi poco chiare, controlli deboli e mancanza di trasparenza possono diventare terreno fertile per abusi e compromessi. In questi casi non è solo il singolo a sbagliare, ma un intero sistema che consente o addirittura premia la disonestà.


Per restituire dignità alla figura dell’avvocato occorre quindi un impegno condiviso più chiarezza, più sanzioni per chi tradisce il proprio ruolo e una cultura che non si limiti a puntare il dito, ma chieda miglioramenti concreti. Solo così si potrà tornare a vedere l’avvocato per ciò che dovrebbe essere un difensore della giustizia, non un suo commerciante.