
Non è rassegnazione, né amarezza, ma il risultato di un’interna maturazione, l’aver capito che non tutto ciò che si desidera serve davvero a farci vivere meglio.
Si comincia a guardare ciò che si ha, invece di inseguire ciò che manca, non perché si smette di credere, ma perché si sceglie di credere in altro.
Cessa l’urgenza di diventare altro, di rincorrere emozioni nuove o passioni che bruciano in fretta. Si perde l’inquietudine di non aver ancora vissuto abbastanza.
Non si cercano più rivoluzioni interiori, ma si coltivano piccole armonie e si scopre che il significato non è sempre nelle svolte, ma nella continuità silenziosa di certi gesti, nella cura di ciò che resta, nel valore di ciò che non fa rumore.
In questo tempo dell’anima, l’energia non va più spesa per rincorrere mete, ma per abitare meglio ciò che già ci è stato dato. Le relazioni diventano più essenziali, le parole più selezionate, il tempo più prezioso. Non si è più alla ricerca di qualcuno che ci completi, ma si desidera condividere solo con chi ci accompagna senza invadere.
Si inizia a sentire gratitudine per l’ordinario un caffè in silenzio, un libro aperto, un pomeriggio che passa senza pretese.
E lì, nel non aspettarsi più il grande evento, si lascia spazio alla presenza. Quella vera, che non chiede di essere notata, ma solo accolta.
Forse non è la vita che sognavamo,
ma è quella che ci insegna a essere integri.
Non quella delle passioni che consumano, delle emozioni forti, ma della calma che costruisce, delle presenze stabili.
E allora, anche senza desideri che infiammano, si scopre una pace nuova
quella di chi non cerca più di afferrare la vita… ma ha imparato a lasciarsene attraversare.
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