giovedì 10 luglio 2025

L’ultimo banco


 







Ci sono persone che non si siedono mai in prima fila, non per timidezza, non sempre per paura, ma perché da dietro si vede meglio.


L’ultimo banco è un luogo particolare. Ci arrivi per scelta o per esclusione. A volte ti ci metti per sentirti al sicuro, altre volte perché nessuno ti ha chiamato altrove. 


È il posto di chi non alza la mano, ma ascolta, di chi non cerca di farsi notare, ma capisce prima.


 È il banco dove siedono quelli che imparano da ogni dettaglio, quelli che osservano più di quanto parlino.


Chi siede all’ultimo banco conosce le pause degli altri, i silenzi che non arrivano fino alla cattedra. Sa quando uno sta male anche se continua a sorridere, e riconosce la voce tremante di chi finge sicurezza.


È il posto dei timidi, sì, ma anche dei sensibili. 

Degli stanchi. Degli attenti. Dei forti silenziosi. Di quelli che, invece di correre avanti, restano indietro per capire. Per lasciare spazio. Per non urtare.


Molti adulti ci restano per sempre, in quell’ultimo banco, cambia il contesto, cambiano le stanze, ma il loro modo di stare al mondo resta lo stesso discreto, profondo, laterale. Non si mettono al centro della scena, ma tengono insieme tutto con la loro presenza tranquilla.


Non c’è niente di sbagliato in questo

anzi, spesso da lì si ha la visione più ampia.

Non si corre il rischio dell’arroganza, né della distrazione.

All’ultimo banco si impara il valore del silenzio, della misura, della pazienza.

Si impara che non serve farsi sentire per esistere.


Io ci sono rimasta spesso, in quell’angolo, non sempre per scelta, ma col tempo ho capito che mi assomigliava.

E se tornassi indietro, forse mi siederei ancora lì, non per nascondermi, ma per vedere meglio.

Per ascoltare, per  essere, anche da lontano  parte di tutto.

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