domenica 20 luglio 2025

12 luglio 2016 Andria-Corato Per non dimenticare.




Ci sono storie che restano conficcate nella memoria collettiva come ferite mai rimarginate. Il 12 luglio 2016, la tratta ferroviaria tra Andria e Corato, in Puglia, fu scenario di una delle più dolorose tragedie italiane degli ultimi anni. Due treni si scontrarono frontalmente su un binario unico, in pieno giorno, lasciando dietro di sé distruzione, dolore e vite spezzate. Vite che avevano ancora molto da scrivere, molto da amare.

Questa è la storia di una di quelle anime. Una storia immaginata, ma che avrebbe potuto essere reale. Come reale è stato il sangue sulla terra arsa, il silenzio dopo il boato, il dolore delle madri, dei padri, degli amici che aspettavano e non hanno visto arrivare nessuno.

È per ricordare. Per non dimenticare mai.


Aveva finito gli esami. L’ultimo era andato e non vedeva l’ora di tornare a casa.


È andato pure questo, mamma. Adesso sistemo le ultime cose e torno dritta dritta a casa. Fra poco ho il treno. Ci vediamo dopo! disse Giulia con la voce alleggerita dalla fine di una sessione che sembrava eterna.


Chiuse la valigia con un tonfo e infilò il libretto universitario nello zaino, quasi con disprezzo. Si incamminò verso la stazione. L’afa pugliese sembrava volerle impedire anche l’ultimo tratto il sole picchiava duro e il vento caldo le bruciava la pelle come carta vetrata.


La valigia era troppo pesante. Lo zaino sembrava schiacciarle le spalle con tutta la pressione degli ultimi mesi. Eppure, dentro sentiva un sollievo nuovo, una libertà da riassaporare.


Al binario, Giulia si accese una sigaretta. Due tiri e la buttò

Fa troppo caldo pure per fumare, pensò.


Scrisse a Silvia, la sua migliore amica

Ci vediamo stasera. Organizza un aperitivo ho voglia di far festa.

Silvia rispose con una faccina ridente Avverto gli altri.


Sorrise. La sua terra. La sua gente. Finalmente.


Pensava a tutto quello che l’aspettava mare, amici, progetti, la tesi da iniziare. Un mese di fuoco, e non solo per il caldo. Le girava la testa per quante cose aveva da fare, tanto da non accorgersi nemmeno che il treno era arrivato.


Lo vide per caso, e corse.


Il treno era pieno. Attraversò tre vagoni prima di trovare un posto. Lo conquistò al volo, evitando un ragazzo che le faceva concorrenza con lo sguardo.


Di fronte a lei, una ragazza dai lineamenti dolci ma dalla voce troppo acuta. Giulia non era in vena. Mise le cuffie e alzò il volume.


Guardava fuori dal finestrino ulivi, terra secca, luce accecante. La Puglia d’estate le dava il bentornata.


Scrisse a Marco, il suo ragazzo

Arrivo alle due. Mi vieni a prendere tu alla stazione?

Certo! Alle due, giusto? Tranquilla che mi faccio trovare al binario.


Perfetto.

Si lasciò cullare dal ritmo del treno e delle canzoni. Si sentiva viva. Forte. Leggera.


E poi si fermò tutto.


Un boato. Un fischio. La testa che rimbalzava contro il sedile. Una, due, tre volte.


Giulia volò. Sentì il corpo sbattere, schiacciarsi, lacerarsi. Un dolore assurdo, tagliente, che le attraversò l’addome. Una lamiera le aveva trafitto la carne.


Sentiva caldo. Poi freddo. Poi nulla.


Mamma… chiamate mia mamma… voglio mia madre…


Non capiva. Il panico. Le urla. Il ferro. Il sangue. Il silenzio.


E poi buio.


Giulia morì così. In un incidente ferroviario.

In una calda giornata di luglio.

Tra Andria e Corato.

Tra ulivi e sogni.


Non ci fu nessun aperitivo quella sera.

Silvia non ricevette mai risposta.

Marco attese invano alle due, al binario.

Mamma non poté abbracciarla mai più.


Giulia non tornò mai a casa.


Questa storia è per tutte le Giulia che quel giorno non sono più tornate.

Per tutte le madri rimaste ad aspettare.

Perché ricordare è l’unico modo che abbiamo per non morire due volte.

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