
Ci sono momenti, anche nei luoghi più inaspettati, in cui la vita ci ricorda quanto siano importanti le piccole battaglie quotidiane. Spesso queste battaglie si combattono in silenzio, con uno sguardo complice, un sussurro delicato, o semplicemente lasciando spazio ai bambini di essere sé stessi, liberi da etichette.
È accaduto qualche mese fa in un corridoio d’ospedale, mentre ero con il mio figlio Luca ed è stata una scena che non dimenticherò facilmente.
Luca è in camera con Leonardo e io decido di prendere una boccata d’aria uscendo nel corridoio in attesa che ci chiamino per il solito ricovero di routine.Poco più in là, nella camera difronte un bambino di circa cinque anni, gioca felice con un mini-aspirapolvere.
A un certo punto arriva una bimba di due anni, che lo reclama con insistenza.
La mamma del bambino cerca di convincerlo:“Dai, ci stava giocando lei, ridaglielo.”
Ma interviene il papà della bambina, con un commento che mi lascia gelare per un attimo: “Questo è un gioco da femminuccia…”
E come se non bastasse, la mamma del bimbo rincara: “Su torniamo in camera che lì c’è la macchinina.” Il bambino, a quel punto, molla il gioco.
Io faccio fatica a trattenermi, ma evito di intervenire siamo in ospedale, l’ultima cosa che serve è un confronto. Ma poco dopo, la bambina passa vicino a me, fiera con l’aspirapolvere in mano. Si gira verso il padre con quella serietà disarmante dei bambini e gli dice: “Non è un gioco da femminuccia, papà.”
A quel punto non resisto, mi accovaccio e le sussurro piano “Hai ragione, tesoro. Non è da femminuccia anche i maschi passano l’aspirapolvere.”
Il papà della bimba mi guarda e scoppiamo a ridere. Non c’è rabbia tra noi, solo la consapevolezza di un messaggio passato, anche se il bimbo, purtroppo, non lo ha sentito.
Poco dopo torno nel corridoio e rivedo il bambino con il suo papà e questa volta non ha una macchinina in mano, ma spinge fiero un passeggino rosa, con dentro un bambolotto.
Io ci credo i bambini miglioreranno il mondo ma per farlo, noi adulti dobbiamo smettere di ostacolarli, di mettere etichette anche alle cose più semplici, come un gioco perché se ancora oggi il lavoro di cura è sulle spalle delle donne, se ci riempiamo i social di video stupidi sulle donne incapaci alla guida, tutto questo inizia proprio da qui.
Dai giochi “Questo non è da maschio o questo è da femmina”.
Anche chi, come noi, cerca di stare attento, a volte inciampa nei vecchi schemi ma è un percorso che va fatto.
Per loro e con loro.
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