
Tutti, prima o poi, soffriamo per amore. Anch’io ho avuto paura di innamorarmi, di essere ferita, di perdere chi amavo. E più i sentimenti erano forti, più quella paura cresceva dentro di me. In fondo, senza questa paura, forse non si può davvero dire di essere innamorati.
Poi, a volte, succede davvero l’incubo peggiore si realizza, e chi ami sparisce dalla tua vita. Spesso dopo lunghe e dolorose separazioni.
Mi sono chiesta tante volte come si faccia a innamorarsi di nuovo. A ignorare quella paura di soffrire ancora. Ma, con il tempo, ho capito che anche se il dolore di un fallimento può essere immenso, se il sentimento è vero, grande e sincero, allora ne sarà comunque valsa la pena.
Perché ci sono sorrisi che solo l’amore sa regalare, carezze che nessuno al mondo sa fare meglio, e soprattutto c’è quella meravigliosa sensazione di sentirsi a casa.
L’amore è un luogo sicuro dove potersi spogliare dalle proprie maschere, una bolla fuori dal tempo, occhi in cui guardare senza paura di essere giudicati, la possibilità di mostrarsi vulnerabili.
È proprio questo che rende speciale una persona tra tutte le altre il fatto che potrebbe ferirti, ma tu scegli comunque di darle fiducia. Perché è questo il senso. E se poi, di nuovo, si dovesse soffrire… sarà solo il prezzo da pagare. Si soffre, ci si rialza, e si va avanti.
Un giorno ho deciso di raccontare un aneddoto, uno di quelli che porto nello zaino, tra le esperienze vissute e mai dimenticate.
Molto tempo prima, in un momento di crisi sentimentale, decisi di intraprendere un pellegrinaggio. Un lungo cammino, da Torino a Genova, a piedi, in pieno novembre.
Mi affidai a un tour operator specializzato in cammini lenti e itinerari spirituali. Un viaggio organizzato, con tappe prestabilite, punti di accoglienza prenotati, indicazioni dettagliate sul percorso e un numero da chiamare in caso di necessità.
Avevo uno zaino sulle spalle e pochi spiccioli in tasca, ogni sera sapevo dove avrei dormito e che qualcuno, da lontano, seguiva il mio tragitto.
Durante quel cammino riflettevo proprio su queste domande. Mi chiedevo quale fosse il senso dell’amore. Ero sempre stata una persona capace di stare bene da sola.
A che serviva, allora, complicarsi la vita?
Essere soli significava potersi gestire senza dover rendere conto a nessuno. E io stavo bene così. Chi me lo faceva fare?
Eppure continuavo a camminare, chilometro dopo chilometro, quaranta al giorno, senza voltarmi indietro. La notte trovavo ospitalità nei conventi, ridendo e scherzando con le suore, aggiustando loro la stampante in cambio di un tozzo di pane.
Una volta chiesi loro se non sentissero la mancanza dell’amore. E quelle donne, con occhi sereni, mi risposero che l’amore, loro, ce l’avevano quello di Dio.
In quel momento mi domandai se, in fondo, non fosse simile anche il nostro amare. Innamorarsi di qualcuno che non si comprende fino in fondo… non è forse un po’ come amare una divinità? Misteriosa e indecifrabile?
Un giorno arrivai vicino al mare. Chiudendo gli occhi riesco ancora a sentirne l’odore.
Era quasi sera, aveva smesso di piovere, e decisi che quella notte avrei dormito sulla spiaggia.
Quando arrivai di fronte al mare, uno spettacolo incredibile si manifestò davanti ai miei occhi un tramonto, semplice eppure meraviglioso, il cielo sembrava andare a fuoco, e l’acqua con lui.
Camminavo a bocca aperta, distrutta dalla fatica, e alla fine crollai in ginocchio sulla sabbia, con le lacrime agli occhi. Mi sentii parte di qualcosa di troppo bello, di troppo grande.
Forse qualcun altro, in un momento simile, avrebbe trovato la fede in Dio. Io no. Guardai intorno, e vidi delle coppie in lontananza, abbracciate, a guardare lo stesso tramonto.
Fu allora che capii quel tramonto sarebbe morto con me perché non c’era nessuno lì, con cui condividerlo così compresi che la felicità, la bellezza, la gioia, non bastano se non si possono condividere.
In quel momento capii perché amo. E giurai a me stessa che non avrei mai smesso.
Ed è per questo che, nonostante tutto, io amo.
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