
Questo è un argomento che tocca corde profonde che la sofferenza, la delusione o perfino gli abusi, molte persone continuano a restare.
Non è debolezza né stupidità, è il risultato di una rete intricata di bisogni emotivi, paure, convinzioni interiorizzate e meccanismi psicologici spesso inconsci.
Molte persone temono di restare sole più di quanto temano il dolore della relazione. La solitudine, in una società che ci spinge a identificarci attraverso la coppia, può sembrare un fallimento. Questo timore diventa ancora più potente se si ha di se stessi una bassa autostima si finisce per pensare di non meritare di meglio o che nessun altro potrà amarci.
L’attaccamento alla relazione si nutre anche della speranza. La memoria selettiva porta a ricordare i momenti belli, le promesse, i gesti affettuosi. Si resta aggrappati all’idea che quella persona tutto sommato sia buona, che stia attraversando un momento difficile, che cambierà. Questa speranza può diventare una trappola, prolungando l’attesa oltre ogni limite razionale.
Esiste una vera e propria forma di dipendenza affettiva, paragonabile a quella da una sostanza. Le dinamiche relazionali tossiche, fatte di alti e bassi emotivi, creano un legame simile a un “gioco d’azzardo affettivo” si soffre molto, ma ogni tanto arriva una dose d’amore che dà sollievo e fa dimenticare la sofferenza. Questo meccanismo rinforza il legame, anche quando è distruttivo.
Molte persone, soprattutto se cresciute in ambienti familiari problematici, sviluppano modelli di attaccamento insicuri. Questo significa che, da adulti, tendono a confondere l’amore con l’ansia, l’incertezza con la passione, la sofferenza con il coinvolgimento. È come se la mente cercasse inconsciamente di arginare ferite antiche, riproducendo le stesse dinamiche con l’illusione di riscrivere il finale.
Spesso ci si sente in colpa all’idea di lasciare l’altro, specialmente se si ha una personalità empatica o se si è stati manipolati emotivamente. Frasi come “senza di te non ce la faccio”, “sei tutto ciò che ho” possono diventare catene invisibili.
In molte culture, uscire da una relazione è visto come un fallimento, soprattutto per le donne. Le pressioni esterne, le opinioni della famiglia o della comunità possono pesare più della sofferenza personale.
Restare in una relazione che fa male non è mai una scelta del tutto consapevole. È il risultato di un insieme di ferite, paure e bisogni che si intrecciano e ci tengono legati. Uscirne richiede un percorso di consapevolezza, di ricostruzione dell’autostima, e spesso anche un aiuto professionale.
Amare se stessi, in questi casi, è un atto di coraggio. Non egoismo, ma sopravvivenza emotiva. Ed è solo liberandosi da ciò che ci fa male che possiamo aprirci alla possibilità di un amore sano, reciproco, rispettoso.
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