mercoledì 21 maggio 2025

Quando chiama la Vita


 




Nel nostro immaginario, i medici sono eroi in camice bianco, sempre pronti a rispondere alla chiamata dell’urgenza, ma dietro quell’efficienza che sembra automatica, c’è una disciplina interiore ferrea, costruita giorno dopo giorno, fatta di rinunce silenziose e di un continuo allenamento emotivo. 

Essere medico significa imparare a mettere da parte sé stessi, le emozioni, le occasioni, anche i momenti più preziosi.


È la capacità di prendere decisioni rapide, lucide, anche sotto pressione, anche quando dentro si è stanchi o feriti, un’abitudine a vivere sul confine tra la vita e la morte, tra l’emozione e il distacco perché quando arriva la chiamata, non c’è spazio per esitazioni, c’è solo da agire.


Era un sabato sera, l’aria tiepida e gentile. In una casa illuminata da luci calde, si celebrava un anniversario importante quarant’anni di matrimonio dei suoi genitori.


 Niente lussi, solo una cena familiare, preparata con amore, come sempre. Intorno al tavolo mani che si conoscevano da una vita, voci che parlavano piano, occhi lucidi per un traguardo raro.


Francesco era lì, presente, con il telefono in tasca e il cuore per una volta sgombro. Aveva lasciato fuori l’ospedale, deciso a regalarsi qualche ora di quiete. C’era persino un sorriso a quella sensazione quasi dimenticata di appartenenza di casa.


 Aveva guardato suo padre, con quel sorriso pacato e rassicurante, e sua madre, che non smetteva di brillare d’emozione e proprio mentre alzava il calice per brindare, il cellulare vibrò.


Sul display, un nome che non lasciava spazio all’immaginazione l’ospedale.


Rispose. Dall’altra parte, una voce chiara, concisa, che non aveva bisogno di preamboli 

“Dottore, c’è un’urgenza c’è un uomo di mezza età, un incidente stradale con trauma  toracico importante. Lo stanno portando in sala. Abbiamo bisogno di lei.”


Non serviva altro. Nessuna esitazione, nessuna domanda, solo un cenno agli altri, un abbraccio veloce a sua madre.


In quel momento qualcosa scattò dentro di lui, non era solo senso del dovere. Era istinto, vocazione, appartenenza a qualcosa di più grande, cercò con il sorriso di rassicurarli, promettendo che sarebbe tornato, anche se sapeva che quella era una promessa che spesso restava sospesa.


Nel tragitto verso l’ospedale, la città pareva essersi fermata, l’auto scivolava tra le strade semi deserte e mentre guidava, ripassava mentalmente i passaggi, i rischi, le possibili complicanze. Si preparava, ma soprattutto, si metteva da parte, perché in quell’istante, non c’era più spazio per l’uomo. Solo per il medico.


Ogni medico conosce quella trasformazione, il  momento esatto in cui si passa da “persona” a “strumento”. Quando le emozioni si chiudono in un cassetto, e restano lì, in attesa si scende in campo ccon le mani ferme, gli occhi lucidi di concentrazione, il cuore sotto controllo.


E così, mentre la notte si richiudeva su sé stessa, lui varcò ancora una volta la soglia dove la vita e la morte si sfiorano. In silenzio con  efficienza con  umanità.


C’era un uomo da salvare. E quando chiama la vita, tutto il resto può aspettare.

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