
C’è qualcosa di profondamente viscerale in questo distacco, un dolore che non si può misurare con parole semplici. Non è il dolore di un amore finito, di un’amicizia perduta o di un fallimento: è il dolore della propria origine che si spegne. È l’anticipazione della propria morte, perché senza di lei, che ci ha portati al mondo, sentiamo per la prima volta la vera solitudine dell’esistenza.
Era una notte d’inverno quando Carla si accorse che il respiro di sua madre stava cambiando. Era un respiro più lento, più pesante, come se ogni battito di quel petto fosse un passo che si avvicinava all’inevitabile.
Si strinse nella vecchia poltrona accanto al letto e l’osservò. Le mani di sua madre, che un tempo erano state forti e instancabili, ora sembravano foglie secche posate sulle coperte. Le vene affioravano sulla pelle sottile, come radici di una pianta antica che stava per arrendersi al gelo.
Carla non voleva dormire. Sapeva che se si fosse addormentata, avrebbe potuto svegliarsi in un mondo senza sua madre. Per rinviare quell’istante, parlava. Parlava come non aveva mai fatto prima, raccontando le cose che non aveva mai avuto il coraggio di dire.
“Ti ricordi quando avevo paura del buio?” sussurrò. “Tu venivi sempre a sederti sul mio letto, accendevi la lampada e mi dicevi che l’oscurità non poteva farmi del male. Ma adesso, mamma, ho paura di questa oscurità, di quella che arriverà quando te ne sarai andata.”
Gli occhi di sua madre, opachi ma ancora profondi, la osservarono con dolcezza. Non aveva più la forza di rispondere, ma la sua mano si mosse appena, cercando la sua. Carla la prese, stringendola con tutta la disperazione di chi non vuole lasciar andare.
Continuò a parlare. Le raccontò dei sogni infranti, delle scelte sbagliate, delle cose che non aveva mai detto per orgoglio o paura. E poi le disse qualcosa che non le aveva mai detto abbastanza: “Grazie, mamma. Grazie di avermi dato la vita. Nonostante tutto, io amo essere qui, su questa terra. Amo la vita, e questo è il tuo dono.”
Un debole sorriso sfiorò le labbra di sua madre. Fu il suo ultimo sorriso.
Quando il respiro si fermò, Carla sentì un vuoto dentro di sé, come se una corda invisibile fosse stata spezzata di netto. E capì che, anche se sua madre non era più lì, lei non l’avrebbe mai lasciata davvero. Perché il sangue che scorreva nelle sue vene, la voce con cui parlava, il cuore che batteva nel suo petto, erano ancora un pezzo di lei. E lo sarebbero stati per sempre.
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