
Gli occhi di un bambino non chiedono di essere interpretati come fossimo indovini; chiedono piuttosto di essere accolti. Uno sguardo timido che scivola via troppo in fretta può custodire la paura di sbagliare, di non essere abbastanza. Uno sguardo fisso, ostinatamente lucido, può nascondere il coraggio di chi ha già imparato a trattenere le lacrime. E poi c’è lo sguardo che brilla all’improvviso è il segnale di un sogno che prende forma, anche quando la vita non è stata gentile. In quell’attimo, capiamo che la speranza non ha bisogno di un grande palcoscenico: le basta una pupilla dilatata, un sorriso accennato, una luce impercettibile.
Viviamo in un tempo che corre, dove gli sguardi si sfiorano senza incontrarsi davvero. Ascoltare con gli occhi significa rallentare, sospendere il giudizio, concedersi il lusso di un silenzio pieno. Significa dire “io ci sono” senza dire niente, offrendo al bambino la cosa più preziosa una presenza che non pretende, non invadente, ma salda.
C’è una responsabilità nello sguardo dell’adulto, perché gli occhi restituiscono ciò che ricevono se incontrano diffidenza, imparano a chiudersi; se incontrano calore, si aprono; se trovano qualcuno che li vede, scoprono che esistere è legittimo. Uno sguardo che riconosce è come una chiave apre porte, scioglie nodi, dà il permesso di parlare o di tacere, quando il silenzio è ancora necessario.
E allora, cosa significa davvero “guardare” un bambino? Vuol dire notare i dettagli come trattiene il respiro prima di rispondere, come le dita si muovono a cercare appigli, come il corpo si fa piccolo o grande a seconda di chi ha di fronte. Vuol dire accorgersi dei piccoli cambiamenti un centimetro di fiducia in più, un velo di tristezza in meno. Vuol dire imparare che dietro a un capriccio c’è spesso un bisogno, dietro a un silenzio una domanda che non ha parole.
Lo sguardo non guarisce da solo, ma è l’inizio di ogni cura. Perché Ti vedo. Per me non sei un problema da risolvere, sei una persona da incontrare. In questo riconoscimento, il bambino trova il coraggio di affidare la sua storia, pezzo dopo pezzo, al ritmo che può sostenere e noi, adulti imperfetti, impariamo a essere ponti tra la paura e la fiducia, tra il sogno e la strada per raggiungerlo.
Alla fine, ciò che resta è semplice e potente due occhi che si cercano e si trovano è lì che comincia un mondo nuovo. Non servono grandi discorsi quando uno sguardo dice la verità “Tu conti. Io sono qui e spesso, è tutto ciò di cui una storia ha bisogno per iniziare a cambiare direzione.
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